Chi pensava che la crisi catalana stesse per chiudersi, almeno per ora, si è dovuto ricredere. Il rischio è che potrebbe persino acutizzarsi. Il tutto mentre dallo Schwelsig-Holstein arriva la notizia che i giudici tedeschi respingono nuovamente la richiesta del pubblico ministero di incarcerare l’ex presidente catalano, Carles Puigdemont, in attesa di capire se verrà estradato per il reato di sedizione, di cui l’accusano i giudici spagnoli.

IL NUOVO E CONTROVERSO presidente catalano, Quim Torra, ha scelto come previsto di mantenere la simbolica protesta contro l’applicazione dell’articolo 155 della Costituzione tornando a nominare fra i 13 membri del suo governo (di cui solo 3 donne) ben 4 degli ex ministri sospesi e attualmente o in carcere preventivo o in autoesilio a Bruxelles. Tre sono fedelissimi e del suo partito, il quarto è Toni Comín (esiliato), in quota Esquerra Republicana, nominato in realtà contro il volere del suo partito.

L’argomentazione giuridica è che nessuno dei quattro ministri è stato (ancora) privato dei diritti civili e pertanto nulla osta all’assunzione dell’incarico. Evidentemente da un punto di vista pratico è impensabile che i quattro possano davvero governare, ma nella battaglia simbolica in cui si è trasformato lo scontro politico catalano, nessuno nel campo indipendentista – neppure la scettica Esquerra Republicana – si è sentito di obiettare alla mossa. Tanto più che tra poche settimane, quando il giudice Llarena chiuderà l’istruttoria del caso, se verrà confermata l’accusa di «sedizione» – come tutto lascia credere – gli accusati automaticamente e fino al giudizio decadranno da qualsiasi pubblico ufficio.

Il problema è che in virtù del 155, al momento chi deve autorizzare la pubblicazione in Gazzetta catalana dei decreti di nomina dei ministri, già firmati da Torra, è il governo spagnolo. La pubblicazione in Gazzetta sancisce formalmente la sospensione dell’applicazione del 155 con il governo catalano che tornerebbe ad acquistare tutti i poteri.

MA IL PARTITO POPOLARE e i suoi complici del 155, Psoe e Ciudadanos, si arrampicano sugli specchi giuridici per cercare di spiegare perché si rifiutano di compiere un atto amministrativo dovuto – analogo alla controfirma da parte del presidente della Repubblica delle leggi italiane. Una volta pubblicati i decreti con la nomina dei ministri, il governo ha certo la potestà di impugnarli – alcune interpretazioni giuridiche sostengono che siccome il governo ha sede in Catalogna, i ministri non possono risiedere all’estero o nelle carceri di Madrid. La mancata pubblicazione, però, potrebbe addirittura profilarsi come abuso d’ufficio. Di certo, se la situazione non viene risolta entro oggi, Rajoy e Torra si troveranno davanti due enormi problemi.

Il primo, che i ministri non possono prendere possesso del proprio incarico. La cerimonia, prevista per stamattina, non può tenersi senza la pubblicazione. Non è chiaro che potrebbe accadere. La seduta di oggi del Parlament, dove Torra avrebbe dovuto presentare il governo e dare il via alla costituzione delle commissioni legislative, è stata già sospesa.

Il secondo problema, dalle incerte conseguenze politiche, è che Rajoy si troverà ai piedi di Pilato dal punto di vista parlamentare. Stamattina è infatti anche prevista una votazione chiave sulla finanziaria 2018 (che il Pp non è stato in grado di approvare finora). Il Partito nazionalista basco, Pnv, ha giurato da mesi che se resta in vigore il 155, non negozierà nulla col governo.

Non è vero che non abbiano negoziato, ma formalmente finora si sono rifiutati di appoggiare il governo, ed è per questo che il ministro delle finanze Montoro ha presentato in parlamento i conti solo un mese fa.

I CINQUE DEPUTATI del Pnv furono chiave per l’approvazione del bilancio 2017, dato che Pp e Ciudadanos da soli non arrivano alla maggioranza dei voti. In cambio il Pnv ottenne – e otterrebbe anche quest’anno – sostanziose contropartite economiche per i baschi. Ma il Pnv non può rimangiarsi la parola proprio ora: sarebbe convenuto a tutti, Rajoy, Pnv e Torra, che il governo non giocasse a tirare la corda, ben sapendo che – simbolismo a parte – la decisione sulla nomina dei ministri inquisiti era politicamente insostanziale. Tra l’altro, tanto per aggiungere altra carne al fuoco, i giudici ieri hanno anche negato il permesso ai ministri in pectore di lasciare il carcere per il giuramento di oggi. E il Tribunale costituzionale ha respinto il ricorso di altri due incarcerati che chiedevano la liberazione in attesa del giudizio.

La politica di Madrid e di Barcellona sembra ormai arroccata sulla miopia e il rinfaccio, incapace di fare il salto pragmatico necessario per iniziare a risolvere la situazione invece di peggiorarla ogni giorno che passa.