E’ passato solo un anno e mezzo ma sembra un secolo. Nel maggio di un anno fa nello stabilimento avellinese di Industria Italiana Autobus venivano fatti entrare giornalisti e telecamere per rilanciare l’immagine di un’azienda già in difficoltà ma comunque ancora impegnata (quanto meno a parole) nella produzione e in aperta interlocuzione col governo. «Ci servono più commesse», chiedeva la dirigenza. Da lì in poi solo il baratro, fornitori non pagati con regolarità, la produzione stabilmente spostata in Turchia nelle fabbriche della Karsan. Il risultato si è visto ieri, con l’ennesimo sciopero a cui hanno aderito tutti gli operai degli stabilimenti di Industria Italiana Autobus (Iia): 150 lavoratori a Bologna e altri 290 nello stabilimento campano di Flumeri. Braccia incrociate, mobilitazioni più incisive annunciate per i prossimi giorni e soprattutto la promessa di non fare più uscire dai capannoni gli autobus pronti per le consegne. «Li terremo fermi qui finché non ci verrà pagato lo stipendio di ottobre», hanno spiegato gli operai di Bologna mentre quelli di Avellino, da anni in cassa integrazione, si dicono pronti a «proteste di ogni tipo». Lo sciopero di ieri è stato proclamato per lo stipendio non versato, ma guarda al governo.

Tutti ricordano un Luigi Di Maio già ministro del lavoro presentarsi a luglio davanti ai cancelli dello stabilimento di Bologna e dire ai lavoratori: «Qui lo Stato non interviene per salvare ma per investire, qui c’è il margine per fare utili» . Tre mesi dopo è arrivata la promessa: Ferrovie sarebbe entrata nella compagine azionaria e assieme al fondo pubblico Invitalia e alla già presente Leonardo-Finmeccanica avrebbe dato così vita ad un polo pubblico per la produzione di autobus. Al netto degli annunci e delle lettere di intenti le cose non sono andate esattamente così: fra una settimana si riuniranno i soci di Industria italiana autobus per decidere se portare o meno i libri in tribunale, gli stipendi dell’ultimo mese non sono stati pagati e all’orizzonte i bene informati della Fiom vedono addirittura un possibile colpo di mano per portare tutta la produzione in Turchia. «Ipotesi da fantascienza? Non diamo nulla per scontato». Il risultato sarebbe un paradossale e disastroso fallimento politico per il Movimento 5 Stelle che, se andranno davvero così le cose, avrebbe predicato per la nazionalizzazione dell’azienda ritrovandosi però tra le mani una beffarda delocalizzazione.

«Il governo balbetta e il Movimento 5 Stelle, così pronto ad apparire quando c’è da criticare, sparisce quando invece si tratta di prendersi qualche critica. Forse il sistema li ha già inglobati e sono diventati come chi li ha preceduti», ha tuonato ieri il segretario della Fiom Emilia-Romagna Bruno Papignani, di certo non un nemico dei grillini. Al momento ad averci messo soldi freschi attraverso società controllate è stata solo la Regione Emilia-Romagna, l’ultima volta questa settimana con un versamento da 600 mila euro nelle casse di Industria Italiana Autobus. Gli stipendi di Bologna avrebbero dovuto essere così garantiti, ma per motivi da chiarire ai lavoratori le cose sono andate diversamente.

Ora i 5 Stelle si trovano col cerino in mano e nella posizione di dover dimostrare di essere in grado di colmare il gap che c’è tra il dire e il fare. Entro il 21 novembre Ferrovie dovrà concretizzare l’annuncio di due mesi fa per scongiurare il fallimento.