Il governo reagisce, la magistratura associata chiarisce. La cronaca del giorno dopo racconta di un arretramento delle toghe rispetto alle accuse rivolte all’esecutivo Renzi. L’Anm si è vista descrivere come un’associazione che alza i toni per nascondere i propri guai – nello specifico l’inchiesta di Palermo sui magistrati che si occupano dei beni confiscati alla mafia – persino da uno come il ministro Alfano. Però lo stile del ministro della giustizia Orlando non è quello del prepotente, né d’altra parte il presidente dell’Anm Sabelli è un incendiario. Il guardasigilli al mattino picchia duro: “I toni dell’Anm sono il tentativo di tenere insieme la magistratura in un momento di scontri significativi al proprio interno”. Al pomeriggio si presenta al congresso di Bari dei magistrati e omaggia l’Anm come “interlocutore essenziale” (il 90% dei magistrati è iscritto, compreso il capocorrente Ferri che di Orlando è sottosegretario). Sabelli si fa incontro mite – “Ministro, non è venuto nella fossa dei leoni, gli attacchi frontali non ci appartengono” – e poi offre l’interpretazione autentica delle parole dello scandalo: “Quando ho parlato di strategia della delegittimazione in realtà non mi riferivo al governo”.
Si riferiva al presidente del Consiglio, questo è chiaro a tutti. E’ Renzi che ha inventato la campagna di ostilità sulle ferie dei magistrati, è Renzi che quando Sabelli che minacciava agitazioni rispose in tv con il famoso “brrr… che paura”. Il presidente del Consiglio non aveva poi tutti i torti, visto che contro l’avversatissima stretta sulla responsabilità civile, le toghe hanno scatenato qualche assemblea, un manifesto e nessuno sciopero. Il merito allora fu di Orlando. Renzi lo considera un “doroteo” ma il ministro gli ha portato in dote passi avanti sulla riforme meno gradite dalle toghe (responsabilità civile, ma anche Csm) e una delega sostanzialmente in bianco sulle intercettazioni.
Nella sfida, Sabelli ha perso sul piano della comunicazione. Aveva cercato di modulare la relazione di venerdì introno a una garbata e collaborativa critica all’esecutivo, su singoli punti. Aveva portato argomenti inoppugnabili – come il fatto che il governo ha lasciato cadere la delega sulle pene non detentive mentre pagava dazio all’alleato Alfano proponendo timidissime misure contro la corruzione. Si è ritrovato descritto come un polemico qualunquista: “Come si fa a dire che siamo come Berlusconi”, gli hanno risposto dal Pd, “Non è ipotizzabile il parallelo con gli anni precedenti”, ha detto Orlando. Sabelli non era stato così ingenuo. Aveva parlato di una tensione con l’esecutivo “meno accesa” rispetto agli anni del Cavaliere “ma più complessa”. Ieri l’Anm ha sperimentato fino in fondo questa complessità.

Orlando ha risposto con retorica renziana: non bisogna opporsi al nuovo. “Non fate l’errore di pensare che chiunque chieda un cambiamento sia un nemico, assumetevi una parte di responsabilità nel cambiamento del paese”. E ha avvertito: “La magistratura rischia di essere distante dai cittadini”. La campagna sulle ferie non avrà aiutato.
Il vicepresidente del Csm Legnini è l’uomo chiave di questa strategia di normalizzazione. Si autodefinisce “ponte” tra governo e magistrati, lui che per mandato guida l’autogoverno delle toghe. Del resto è approdato al Csm direttamente dal governo Renzi, dove si occupava di economia. Non volendolo, ha suggerito il titolo al congresso di Bari dell’Anm, – “Giustizia, economia, tutela dei diritti”- quando a luglio ha spiegato che i giudici nelle loro sentenze dovrebbero “cogliere e prevedere l’impatto delle decisioni giudiziarie sull’economia”. “A volte abbiamo la sensazione che la tutela dei diritti interessi solo a noi magistrati”, ha concluso ieri, come sconsolato, il segretario dell’Anm Maurizio Carbone. Mentre Legnini prescriveva l’armonia: “Il conflitto, anche solo latente, tra politica e magistratura, tra giustizia ed economia, rischia di indebolire il futuro del paese”. L’aggettivo “nuovo” è squillato sedici volte nell’intervento del vicepresidente del Csm a Bari. Anche a proposito dei temi tabu: “Autonomia e indipendenza dei magistrati vanno considerati in un’ottica in parte nuova”. Non si è capito benissimo in che senso. Ma di certo in un senso “complesso”.