C’è una parete bianca. Come un’alzata di cartongesso. Ma, a guardare bene, è soltanto un grande pannello di truciolato. Un muro finto, simile a quello di un cantiere edile. L’ha fatto installare qui, dal 2011, la direzione del Museo di Stato Auschwitz-Birkenau, per chiudere l’accesso al memoriale degli italiani. Al direttore non piace l’artisticità del nostro padiglione. L’ha dichiarato «ideologico». E così l’ha fatto sparire. L’ANED (associazione nazionale ex-deportati) protesta da tempo, ma senza esito. Oggi la resa dei conti è alle porte, anche se è stato riaperto il 21 e il 27 gennaio, per la Giornata della Memoria.

Siamo nel lager più famoso del Mondo. Quello dell’insegna «Arbeit Macht Frei» (Il lavoro rende liberi) e che invece, per i deportati, rendeva tristemente obbligatoria la morte. Qui dentro i nazisti, oltre a camere a gas e forni crematori, costruirono degli edifici ordinati su due piani che ospitavano varie attività: dormitori, uffici burocratici, camere di tortura, e altro. Ancora oggi ogni edificio è chiamato block. Queste costruzioni ospitano stanze con esposizioni degli oggetti che i nazisti sottraevano alle vittime (valige, scarpe, vestiti, occhiali, capelli). Poi ci sono i memoriali dei Paesi che hanno avuto morti ad Auschwitz, cioè la quasi totalità delle nazioni europee. Sono stanze dei block organizzate in vario modo: con pannelli didascalici, opere d’arte, filmati di repertorio, fotografie d’epoca, allestimenti.

Il memoriale degli italiani ha una sua unicità. È una grande spirale di tela dipinta che corre lungo tutta la stanza. Chiuso al pubblico dal 2011, l’abbiamo visitato il 21 gennaio, quando è stato aperto per la presenza di 550 studenti toscani arrivati ad Auschwitz col «Treno della Memoria». È stata un’apertura dovuta, perché richiesta dalla Regione Toscana, ma contingentata nell’arco di 3 ore mattutine: la porticina di quella parete da cantiere è stata chiusa di nuovo prima di pranzo. Dario Venegoni, vicepresidente ANED, da anni sta cercando una via d’uscita a questo problema che implica fattori emotivi, di dignità nazionale, di rispetto nei confronti degli autori dell’opera tra cui spiccano Primo Levi, Pupino Samonà, Nelo Risi, Luigi Nono. Il governo italiano, dal 2011, non è riuscito a trovare una soluzione concreta. Così ANED ha chiesto alla Regione Toscana di intervenire, conoscendo la sensibilità di quella istituzione per il mantenimento della memoria degli orrori nazifascisti (la Regione è stata la prima ad organizzare, con la supervisione di Ugo Caffaz, il Treno della Memoria che ogni due anni porta centinaia di studenti a visitare Auschwitz). La Toscana non si è tirata indietro e finalmente il memoriale trova una casa. Il governo italiano ha incaricato l’Istituto nazionale per il restauro e l’Opificio delle Pietre Dure di eseguire tutti gli studi e gli interventi necessari alla rimozione. Poi, nei prossimi mesi, la Regione Toscana provvederà al costo di smantellamento della struttura che sarà trasferita, conservata ed esposta al pubblico a Firenze, al padiglione Ex3.

Certo non è la stessa cosa. Il governo italiano ha promesso che penserà a come allestire un nuovo memoriale italiano nel lager, adeguandosi ai rigidi criteri della direzione museale polacca (impianto didascalico, commemorativo, didattico), riconoscendo che l’opera italiana, creata nel 1971 «è un po’ datata». Ma se nessuna istituzione centrale italiana, dal giorno che è stato messo in quarantena, ha difeso il nostro vecchio memoriale, quanto dovremo aspettare per vederne uno nuovo che rappresenti la memoria dei nostri compatrioti uccisi dentro al campo di concentramento? Per il momento, dal 2011 nessun visitatore di Auschwitz (e sono oltre 1milione e 300mila all’anno) ha visto e vedrà la ben che minima traccia di Italia dietro quei fili spinati. Siamo al centro dell’Europa. In quel Paese che, con disagio, confina a est, con la Russia. Siamo in Polonia. La nazione che ha la responsabilità di mantenere aperto uno degli inferni più odiosi costruiti dall’uomo.

Qui sono morti anche centina di migliaia di italiani, durante l’attività dell’industria della morte che i nazisti avevano messo in campo. Ma oggi, in questo posto maledetto dalla storia, gli italiani non ci sono più. Sono bastati un falegname e un centinaio di euro per far sparire il memoriale italiano. È bastato tirare su un pezzo di truciolato bianco, mettere un lucchetto alla porticina. Et voilà!
Il museo del lager più famoso del Mondo è purificato dalle «pretese» artistiche di Samonà, Levi, Risi e Nono. L’Italia deve uniformarsi al nuovo corso polacco. E se è vero che il pubblico (compresi i familiari delle vittime italiane della Shoa) tra poco potranno andare a Firenze, a visitare quel memoriale, è pur vero che l’Italia non può sparire così dal campo di concentramento, come una colonna di fumo che sale lungo il camino, allontanata dal vento, nel cielo di Auschwitz.