«Il governo italiano indaghi sulle attività di Hacking Team in Etiopia e altrove, in modo da regolamentare la vendita di tecnologie di sorveglianza che vengono utilizzate per calpestare i diritti umani».

Human Rights Watch ieri è tornata a puntare il dito sull’Italia, perché malgrado le rassicurazioni del passato, poco o nulla è stato fatto per sgombrare il campo dall’accusa, rivolta appunto a Hacking Team, azienda italiana specializzata in sofisticati sistemi informatici di sorveglianza a distanza, di collaborare consapevolmente con alcuni tra i regimi più liberticidi e repressivi del mondo.

La recente pubblicazione di un’enorme quantità di email e documenti altamente riservati, “intercettati” negli archivi dell’azienda di spyware, proverebbe secondo Hrw che «la tecnologia e l’assistenza fornita da Hacking Team al governo etiope ha direttamente contribuito a violazioni dei diritti umani e nonostante diversi richiami colpisce la totale assenza di preoccupazione da parte di Hacking Team per il modo in cui il suo business poteva recare danno a voci dissidenti o indipendenti».

Con la scusa globalizzata della «sicurezza nazionale» e della «guerra al terrorismo», la coalizione di governo, l’Ethiopian People’s Revolutionary Democratic Front (EPRDF), che ha ottenuto il 100% alle ultime elezioni, ha intensificato negli ultimi anni i suoi sforzi per silenziare qualsiasi dissenso. Decine i giornalisti e blogger incarcerati o perseguitati anche all’estero (particolarmente colpita la diaspora negli Usa) e anche grazie ai servizi di social engineering e a sistemi che permettono di monitorare chat, decifrare file criptati, ascoltare conversazioni Skype, attivare a distanza microfoni e videocamere.
L’Etiopia, ai primi posti nel mondo per aiuti umanitari e militari ricevuti, nel 2012 ha versato nelle casse di Hacking Team 1 milione di dollari.

Nel marzo scorso l’azienda ha sospeso la collaborazione, non tanto per motivi etici, quanto perché l’uso «incauto e impacciato» da parte delle autorità etiopi si stava rivelando un boomerang per il marchio italiano. Al momento della pubblicazione dei file segreti era in discussione un nuovo contratto da 700 mila dollari. gina musso