Il 4 ottobre 2019 era un venerdì. Da tre giorni centinaia di migliaia di iracheni avevano invaso le strade di Baghdad, l’inizio di quella che oggi chiamano la Rivoluzione d’Ottobre. All’alba, vicino al centro commerciale al-Nakheel, un intenso rumore di spari svegliò i manifestanti del presidio spontaneo sorto sotto il ponte Mohammed al-Qassim.

Iniziarono a correre in cerca di un riparo. Il fuoco proseguì per circa mezz’ora, senza che si riuscisse a capire chi stesse sparando. Subito si diffuse la voce di cecchini sui tetti. Nei giorni successivi il governo parlò di quattro vittime e di uomini armati non identificati che avevano nel mirino civili e poliziotti. Ora un’inchiesta di Middle East Eye, che ha avuto accesso a fonti della sicurezza e documenti governativi, fa chiarezza. Trentadue morti di cui appena undici giorni dopo l’allora premier Abdul Mahdi conosceva già i responsabili.

Nessun cane sciolto ma membri dell’esercito (probabilmente della 45° Brigata), poi trasferiti in prima linea contro cellule dell’Isis a Kirkuk per far dimenticare i fatti. Stesso obiettivo si è cercato di raggiungere offrendo denaro alle famiglie delle vittime. Tra le prime di una lunga serie: in un anno di proteste sono stati uccisi oltre 600 manifestanti.

All’epoca venne aperta un’inchiesta su quelle morti, ma diversi funzionari iracheni lavorarono sodo per insabbiare le indagini e far passare la versione del cecchino indipendente e solitario, quando l’intero centro della capitale era presidiato da agenti federali anti-sommossa, poliziotti, miliziani, soldati dell’esercito.

Secondo le informazioni raccolte da Mee, al contrario, i responsabili erano membri dell’esercito, «spinti» ad agire dopo il lancio di alcune moltov da parte dei manifestanti. Persone, aggiungono le fonti, addestrate alla guerra e impreparate ad affrontare una protesta popolare. Le stesse che nei mesi successivi compiranno un massacro, insieme ai paramilitari delle milizie sciite.