Oggi, siamo immersi in un mondo plasmato da strategie propagandistiche tra loro rivali che in ogni campo, e soprattutto in quello economico e politico, si contendono la mente e il cuore delle persone, sfruttando prevalentemente conoscenze scientifiche, algoritmi e tecnologie digitali. Ma qual è la genealogia della propaganda nel mondo contemporaneo? Quali i suoi tratti essenziali? Se le grandi dittature del Novecento hanno fatto un uso terroristico della propaganda, qual è il ruolo di questa attività in una società democratica e capitalistica? Propaganda di Edward L. Bernays (Shake edizioni, pp. 160, euro 9,90), uscito per la prima volta negli Stati Uniti nel 1928 e ora riproposto al pubblico italiano in un’edizione curata da Raf Valvola Scelsi e tradotto da Giancarlo Carlotti, aiuta a rispondere a queste fondamentali domande.
Edward L. Bernays (1891- 1995), cugino di Sigmund Freud, è stato uno dei più importanti giornalisti americani del Novecento, famoso per aver contribuito in modo determinante a creare il settore delle pubbliche relazioni e la figura del consulente politico (spin doctor), mettendo le sue capacità al servizio tanto di alcune delle principali multinazionali quanto del governo degli Stati Uniti, in particolare durante la Prima guerra mondiale e negli anni del maccartismo, in funzione anti-comunista – anche se successivamente si rifiuterà di fare da consulente a personaggi come Francisco Franco e Richard Nixon.

SEBBENE COME MOLTI della sua generazione – segnatamente Walter Lippman, l’altra grande figura giornalistica dell’epoca interessato alle dinamiche dell’opinione pubblica – anche Bernays condivide l’idea che le masse vadano guidate dai leader e dalle élite perché incapaci persino di riconoscere il loro stesso bene, la sua visione va al di là di questa idea. In una società pluralista di massa, ogni istituzione e ogni attività per avere successo deve poter contare sul consenso delle persone: dal politico che si candida alle elezioni all’azienda che lancia un nuovo prodotto sino alle comunità religiose, all’università e ai musei, tutti hanno bisogno di piacere.
Questa visibilità e approvazione non si realizza spontaneamente e anche se lo fosse ciò non sarebbe un bene, poiché creerebbe un contesto sociale troppo instabile e aleatorio: le pubbliche relazioni hanno esattamente il compito di far incontrare in modo mirato strategicamente, i gusti delle persone con le esigenze delle istituzioni economiche, politiche e culturali.
Bernays chiama «governo invisibile» l’insieme delle persone e delle attività che si dedicano a questo e che, pur non avendo un potere formale, tramite i mass media, la pubblicità, le iniziative promozionali, gli eventi e così via, esercitano in realtà un ruolo determinante per la vita di milioni di persone.

GLI ELEMENTI FONDAMENTALI del ragionamento di Bernays sono dunque due: il primo è che le pubbliche relazioni dalle quali origina la propaganda non possono essere completamente manipolatorie né avvenire nel vuoto sociale e culturale. Per avere successo la propaganda deve fare leva su quegli elementi che sono già presenti nella testa e nel cuore delle persone, indirizzandoli a proprio vantaggio: Per contro, se ciò non è possibile, allora le pubbliche relazioni devono prima suggerire i cambiamenti più adatti nel modo di fare del cliente, in modo da poterlo poi «vendere» meglio.
Il secondo tema fondamentale sviluppato in Propaganda riguarda il ruolo illuminista che Bernays assegna alle pubbliche relazioni: poiché le persone non sono in grado di farsi da sole un’opinione, la propaganda diventa il dovere quasi morale delle istituzioni, soprattutto di quelle non-profit, di organizzare i bisogni, i desideri e gli atteggiamenti delle persone. Le masse vanno manipolate, innanzitutto facendo leva sui loro sentimenti ed emozioni, poiché altrimenti non potrebbero nemmeno essere educate. Ecco perché è necessario l’ausilio delle scienze sociali e della psicologia per sviluppare in modo scientifico le attività propagandistiche.

COSA GARANTISCE che la propaganda non soffochi la democrazia politica? Per Bernays la concorrenza tra propagande diverse, frutto del ricco tessuto della società civile, e la deontologia dell’esperto di pubbliche relazioni che non deve cedere alla tentazione di diventare un bugiardo di professione. Questo è sufficiente? Bernays non risponde ma è chiaro che questo dilemma è il vero nodo gordiano che sta dietro la sua analisi.
Un nodo affrontato da altri classici del genere, come L’opinione pubblica di Lippman e i Persuasori occulti di Packard, che oggi diventa ancora più inestricabile.