Messe in fila, le ultime notizie dicono che a Piombino si chiude per decisione del governo. Mentre per decisione dell’Unione europea, contrastata dal governo, finiscono di nuovo sotto accusa le mefitiche emissioni dell’Ilva di Taranto. Nel paradosso dell’acciaio italiano, talmente vistoso da poter comparire in un guinness dei primati, non c’è però alcuna traccia di comicità. Non solo per il dramma di almeno tremila famiglie che, al massimo che vada, si vedranno tagliare ogni mese più di 300 euro, da bilanci di casa non certo elevati. Anche perché, nell’agonia del secondo polo siderurgico del paese, si specchiano tutte le non-politiche industriali – tese ben che vada a favorire gli «imprenditori amici» – che hanno portato in dieci anni a veder calare del 25% la capacità produttiva della tanto strombazzata «azienda Italia».
La settimana col botto alle Acciaierie di Piombino si è aperta con la scelta ministeriale di spegnere, lentamente ma inesorabilmente, il solo altoforno italiano dopo quelli pugliesi. Potrebbe chiudersi già oggi, giorno fissato per una rovente assemblea di fabbrica, con la decisione operaia di uno sciopero. Risposta sacrosanta che però, sotto le feste pasquali, potrebbe essere facilmente strumentalizzata. A meno che, visto che in città la temperatura sta salendo in modo inversamente proporzionale al calo progressivo di quella dell’altoforno, trovino conferma le voci che già si rincorrono nelle piazzette del centro e nelle calate a mare. Voci sintetizzabili in una parola. Occupazione.
«Non vogliamo prendere in giro i lavoratori – spiegano i segretari metalmeccanici al Tg3 toscano – e visto quello che leggiamo sui giornali, avvertiamo che non è certo il momento di fare campagna elettorale sulla loro pelle». Sono molto arrabbiati. Magari a scoppio un po’ ritardato, visto che al Mise il destino delle Acciaierie è stato deciso da mesi. Mentre in parallelo si sprecavano gli «inviti» della politica, leggi il Pd da queste parti egemone, alla calma. Eppure oggi le parole di Luciano Gabrielli, ascoltato responsabile della Fiom locale, hanno qualcosa di definitivo: «Noi non vogliamo che il governo Renzi chiuda la siderurgia a Piombino».
Dalla teoria alla pratica, il passo è lunghissimo. Nel lungo incontro fra il commissario governativo Piero Nardi, i segretari di Fiom, Fim e Uilm e i coordinatori della Rsu delle Acciaierie, questi ultimi hanno ottenuto solo la personale solidarietà del commissario alla richiesta di contratti di solidarietà generalizzati, anche per le imprese che lavorano per il grande e frastagliato indotto della ex Lucchini. «Nardi ha dato disponibilità a condividere le nostre richieste sui contratti di solidarietà – spiega Vincenzo Renda della Uilm – ma perché le nostre richieste siano accolte è necessario un intervento legislativo ad hoc, quindi un decreto del governo, per affrontare la crisi che si aprirebbe».
Pollice verso invece a tutte le altre richieste, avanzate a suo tempo anche al ministero dello sviluppo economico, e riassumibili nella garanzia di un futuro siderurgico per la gigantesca cittadella dell’acciaio. Un futuro che, da queste parti lo sanno anche i bambini, non può prescindere da un altoforno funzionante. Almeno durante gli anni di lavori necessari per realizzare l’ambizioso programma di riqualificazione e riconversione del polo industriale, con un nuovo impianto Corex e un forno elettrico. Ma anche questo accordo di programma, che sarà firmato a giorni, dà per scontata la chiusura dell’area a caldo dell’ex Lucchini. Ipotizzando una transizione produttiva – e occupazionale – nello smantellamento di navi anche militari arrivate a fine corsa. A metà fra la carpenteria e il robivecchi.
Per certo il 22 aprile l’altoforno entrerà in stand-by e sarà alimentato solo con il coke, il «carbone bianco», per non far collassare l’impianto. Spegnimento definitivo a fine maggio. «Così l’Italia perderà la possibilità di produrre le rotaie – tirano le somme a Piombino – e sarà costretta ad acquistarle all’estero». Un altro (sotto)paradosso dell’acciaio.