Stupidità politica, arroganza, cecità. O la consapevolezza di essere immuni da qualsiasi forma di punizione. Cosa ci sia dietro le parole pronunciate sabato scorso da Mustafa Bakri su Giulio Regeni lasciamo ai lettori deciderlo.

Su Alhadat, canale tv egiziano dell’emittente saudita al-Arabiya, invitato come opinionista, Bakri è tornato sul caso dell’omicidio di Giulio: ha provato a discolpare la polizia imputandogli di essere a capo di un sistema di sparizioni e omicidi di Stato molto ben collaudato. «Se la polizia avesse ucciso Regeni – ha detto – non lo avrebbe certamente buttato per strada. Ci sono altri modi. Lo avrebbe messo nel cemento e nascosto, non sarebbe andata a denunciare se stessa».

«È pensabile che la polizia egiziana uccida Regeni e lo butti per strada vicino a Hazem Hassan? Che lo torturi in quel modo? Ci sono metodi più innovativi. E se l’avesse fatto, lo avrebbe nascosto», ha insistito Bakri prima di chiudere accusando Giulio di essere una spia straniera e di avere migliaia di file nel suo computer, identico ritornello di molti esponenti dentro l’establishment politico e mediatico egiziano.

Bakri è giornalista, tra i più noti nel paese, e oggi siede in parlamento da indipendente oltre ad essere membro della Commissione per la cultura e l’informazione (la stessa che un mese fa ha presentato un disegno di legge per regalare al presidente al-Sisi il potere di nominare il comitato che sceglie i direttori dei quotidiani governativi). Nella stessa intervista televisiva ha anche pensato bene di dire che il parlamento sta discutendo la creazione di una tassa su Facebook, già ampiamente spiato dai servizi alla caccia di “sovversivi”.

Ma le parole di Bakri su Giulio lasciano di stucco per l’arroganza con cui sono state pronunciate. Al di là delle diverse teorie sui responsabili materiali della sua morte (esercito, polizia, servizi segreti), non fanno che confermare quanto era già noto: la responsabilità politica del regime e l’esistenza di un sistema di repressione istituzionalizzata, di sparizioni forzate, omicidi extragiudiziali che vede in cima alla piramide un nuovo Pinochet, l’ex generale al-Sisi.

Che un parlamentare giunga però a spiegare nei dettagli i metodi usati dalla polizia egiziana per zittire la società civile è specchio dell’impunità totale di cui quel regime gode. Ma anche della sua stupidità: il popolo egiziano ha già mostrato rabbia e stanchezza per l’ennesima dittatura subita e difficilmente tollererà a lungo tale spavalderia.

Un atteggiamento che si traduce in numeri che fanno orrore: tra i 40 e i 60mila prigionieri politici in tre anni, 2mila casi di omicidi extragiudiziali dal 2013. E ancora, 493 morti in carcere, oltre 1.700 desaparecidos e 1.176 casi denunciati di tortura in galera soltanto nel 2015.