È già possibile cominciare a ragionare sul dopo 4 marzo. Certamente non è facile, potrebbe essere imprudente. Per il semplice motivo che la legge elettorale, oltre a profili di dubbia costituzionalità, presenta anche un’assoluta imprevedibilità.

I suoi inventori si sono dimostrati dei classici apprendisti stregoni. Avrebbero voluto fare una legge per garantire stabilità e prevedibilità, otterranno con ogni probabilità esattamente il contrario. Sarà comunque davvero difficile, se non impossibile, che gli italiani – per riprendere il mantra dei sostenitori delle ultime leggi elettorali – la sera stessa, finiti gli scrutini, possano conoscere il loro nuovo governo.

L’escamotage delle coalizioni prive di idealità e programmi definiti non è sufficiente a risolvere il problema. Però, può proprio essere questa la scappatoia. Non è affatto impossibile che le coalizioni formatesi per la campagna elettorale tornino a scomporsi il giorno dopo il voto, per concorrere a formare governi di intese più o meno larghe. Tali comunque da essere sorretti da una maggioranza parlamentare ben diversa da quella che è stata presentata ai cittadini durante la campagna elettorale. La stessa ipotesi di un governo del Presidente può aiutare anziché contraddire questo esito.

Per capire quello che può succedere è buona norma, anche se certo non l’unica, dare uno sguardo al comportamento degli operatori economici a livello internazionale e interno. A questi livelli la imminente scadenza elettorale italiana non sembra provocare grandi fibrillazioni. In una recentissima intervista al giornale della Confindustria, il Sole24Ore, il presidente della Tamburi Investment Partners, ovvero del secondo investitore privato del mercato italiano, cioè Giovanni Tamburi, alla domanda su quali possono essere le incognite che potrebbero tenere in apprensioni analisti, operatori e investitori, risponde senza mezzi termini che ce ne sono certamente ma che «l’esito delle elezioni italiane di marzo, per esempio, sono un falso problema, comunque finiscano le cose», perché sotto il nostro mercato finanziario «c’è, e ci sarà ancora a lungo, una solida rete di protezione garantita dalla Bce».

In effetti Mario Draghi ha già dichiarato che la politica dei bassissimi tassi andrà “ben oltre” la stessa fine del Quantitative Easing, peraltro open ended. Infatti lo spread tra Btp e Bund tedeschi è oscillato in una settimana tra 135, 131 e 138. Ma i motivi risiedono più nelle dichiarazioni di Trump a Davos e di Draghi a Francoforte sui rapporti euro-dollaro, che non nelle incertezze del quadro italiano.

Tra marzo e maggio vanno in scadenza circa 100 miliardi di euro tra Bot, Cct e Btp, ma non per questo regna il pessimismo sul versante degli investitori. Mettendo insieme vari incontri e dichiarazioni c’è chi, nel mondo finanziario in particolare, si è fatta la convinzione che dopo il 4 marzo la temuta paralisi politica non ci sarà. O che, se la formazione di un governo richiederà tempo, il vuoto non sarà devastante.

Pare cioè che il mondo finanziario abbia preso sul serio le mosse di Berlusconi. Il quale si è mosso per tempo, ricucendo i rapporti con la Merkel – a suo tempo chiamata con epiteti non proprio gratificanti – e con il Partito popolare europeo, facendo intendere loro che l’alleanza con Salvini non dovrebbe varcare l’esito degli scrutini elettorali. In questo quadro acquistano un particolare significato la candidatura a premier di Tajani – inviso a Salvini -, nonché le dichiarazioni berlusconiane a favore della ligia osservanza ai parametri del rapporto deficit-pil, infine la scelta di candidature non proprio fortissime laddove si contrappongono a Renzi o a Gentiloni.

Negli ambienti influenti sta passando l’idea che l’ingovernabilità italiana sia un cavallo ruffiano e che invece si lavori per la rinascita di un governo delle larghe intese. Solo che il coperchio sulla pentola lo devono mettere gli elettori e non è affatto detto che la somma dei voti tra Fi e Pd sia sufficiente a reggere una simile operazione. Ma in ogni caso chi sta a sinistra del Pd, anziché pensare a conversioni di rotta di quest’ultimo, più impossibili che improbabili, farebbe bene ad attrezzarsi, in Parlamento e nel paese, a una seria e non breve lotta di opposizione, che farebbe solo bene alla nostra vacillante e umiliata democrazia.