«Sulle riforme ci giochiamo la vita del governo» dice Enrico Letta, che in meno di un mese a palazzo Chigi ha già dovuto cambiare tre volte le sue proposte di metodo costituente. Ieri l’ultima, battezzata al termine di un rapido incontro tra ministri e capigruppo di Pd, Pdl e Scelta civica dedicato soprattutto alla legge elettorale. Ma nemmeno restringere il confronto alla sola maggioranza (la materia è evidentemente di competenza del parlamento e di tutti i partiti) è bastato. L’intesa prevede un intervento sul Porcellum, probabilmente per iniziativa dello stesso governo, limitato agli aspetti più scabrosi della legge in vigore. La maggioranza è d’accordo, però, solo sul fatto che deve mettersi d’accordo, e approvare le modifiche entro fine luglio. Sul dettaglio delle correzioni le distanze restano tutte, tra i partiti e nel caso del Pd anche nel partito.

«Sarà un intervento minimale», annuncia il capogruppo Pdl Brunetta. E probabilmente ha ragione, visto che anche Letta parla di «piccole modifiche» e considerato che Berlusconi terrebbe il Porcellum così com’è. Niente affatto, fa sapere il ministro Franceschini, ma solo in privato ai deputati Pd preoccupati per l’esito favorevole al Pdl, i contenuti dell’intesa ancora non ci sono. A pensar bene, dunque, non si è fatto alcun passo in avanti. A pensar male però si intravede l’introduzione di una soglia per conquistare il premio di maggioranza: il 40% dei voti. Irraggiungibile oggi per il Pd ma accettabile per il Pdl che in alleanza con la Lega inquadra l’obiettivo, e in alternativa si accontenterebbe delle larghe intese bis. «Temo solo la palude dell’ingovernabilità», dice Epifani, come se la palude fosse poca cosa, ma il segretario ha il problema in casa. I dalemiani e i renzian-veltroniani spingono per il ritorno al Mattarellum, immaginandolo come prologo al doppio turno (e al semi presidenzialismo). L’ala lettiana, ben rappresentata nelle commissioni competenti, antepone la sopravvivenza del governo e dunque la ricerca di un’intesa, a tutto. E non trascura il fatto che una legge proporzionale pura destinata a non far vincere nessuno potrebbe allungare la vita dell’esecutivo. Anche il presidente della Repubblica invita a fare quel che si può, magari il minimo. Le parti si sono così rovesciate: dal governo «di servizio» siamo già al parlamento al servizio della tenuta del governo.

Per il momento, però, la scelta del governo di farsi «parte attiva» del processo riformatore non fa che aumentare le preoccupazioni, specie nell’(ex) centrosinistra. La prudenza di Epifani dovrà cedere il passo a una decisione nella riunione della direzione Pd, la settimana prossima. Intanto si può ascoltare, durante l’audizione del ministro Gaetano Quagliariello davanti alle commissioni affari costituzionali riunite, l’allarme di Rosy Bindi: «I governi passano, le Costituzioni restano». Mentre tocca al capogruppo di Sel alla camera Gennaro Migliore ricordare al ministro che «non spetta al governo assegnare i compiti alle commissioni parlamentari». Quagliariello e Franceschini rispondo professando assoluto rispetto della «centralità del parlamento» (sulla quale interviene anche la presidente della camera Laura Boldrini), poi però fanno e disfanno la road map delle riforme, da palazzo Chigi.

La terza e fin qui ultima versione del «metodo» smentisce l’annuncio fatto da Letta nel giorno del discorso alle camere, non ci sarà nessuna Convenzione esterna al parlamento. Smentisce anche la correzione uscita dal conclave dei ministri a Spineto, non ci sarà nemmeno la versione «interna», composta dai deputati e senatori delle prime commissioni; il termine Convenzione andrebbe anzi dimenticato, suggerisce Franceschini. L’ultima trovata è un «comitato dei 40», ri-costituenti selezionati con metodo proporzionale (penalizza Pd e Sel) in modo da garantire al senato (destinato secondo i piani a votare il suo «superamento») parità di peso con la camera. Per renderlo effettivo, però, servirà comunque una legge costituzionale con i tempi lunghi dell’articolo 138. Mercoledì prossimo le due camere potranno al massimo lanciare la nuova sede di confronto dove fare un po’ d’accademia, oltre al gruppo di professori, ridimensionati a semplici consulenti del governo.

Quanto al merito delle riforme, infine, Quagliariello promette più referendum confermativi ma spinge sull’opzione semi presidenziale. Preferita dal Pdl ma arrembante anche nel Pd, che così può continuare a sperare in una legge elettorale diversa dal Porcellum su misura della nuova forma di governo. Aspettare e sperare.