Tre giorni per il programma, l’ormai famoso «contratto di governo», almeno il doppio per mettersi d’accordo sui ministri. Salvini e Di Maio lavorano alla lista ben sapendo che oltre a un’intesa tra loro devono avere il via libera del presidente della Repubblica sulla squadra. Mattarella valuterà con scrupolo gli obiettivi e i protagonisti di questa avventura grillo-leghista e già ieri ha mandato un pesante avvertimento perché sia rispettata la linea filo europea. Entro domenica il capo dello stato aspetta la conferma che l’esperimento può partire. Con accluso nome del presidente del Consiglio da incaricare. Che non dovrebbe essere né un leghista né un grillino, malgrado Salvini stia ancora tentando di convincere Di Maio a lasciargli la guida, almeno per un primo periodo. Ma della «staffetta» non si fida nessuno.

Salvini a palazzo Chigi è la condizione che pone Giorgia Meloni per votare la fiducia, i suoi però sono voti non necessari e i 5 Stelle fanno volentieri a meno di un altro partito in maggioranza. Soprattutto è la nuova richiesta di Berlusconi alla Lega: Forza Italia potrebbe astenersi solo se a guidare l’esecutivo sarà colui che era stato indicato leader del centrodestra, altrimenti voterebbe contro. Per Di Maio andrebbe anche meglio, ecco perché sono le fonti grilline a insistere: «Premier terzo, discorso chiuso».

Pazienza che sia l’esatto opposto di quello che per settimane hanno sostenuto tanto Salvini quanto Di Maio, instancabili nel ripetere che mandare a palazzo Chigi un non eletto avrebbe significato tradire la volontà degli elettori. La difficoltà adesso è un’altra: trovare 15-20 nomi per l’esecutivo gialloverde «potabili» per il Quirinale. Mattarella ha avvertito che si atterrà con rigore al dettato dell’articolo 92 della Costituzione, quello che stabilisce che a nominare il ministri è il capo dello stato. Si prevedono bocciature e nomi cancellati.

Occhi puntati quindi soprattutto sui ministeri più importanti, come l’economia. La tentazione di Salvini e Di Maio di entrare nell’esecutivo è forte, anche perché è l’unica condizione per intestarsi il titolo «onorifico» di vice presidenti del Consiglio. Senza contare che Mattarella non potrebbe sollevare obiezioni se i capi politici dei due partiti che hanno preso più voti alle elezioni chiedessero per loro il Viminale (Salvini) e la Farnesina (Di Maio). Assai singolare sarebbe però, a quel punto, la posizione del presidente del Consiglio (o della presidente), circondato dai veri leader della compagine. Il nuovo esecutivo oltre ai 13 ministri previsti dalla legge non si negherebbe ministri senza portafoglio, compreso uno per le riforme che proverebbe a cambiare la legge elettorale. Ma le caselle vanno ancora riempite, dopo il prevedibile primo passo di domenica e l’incarico, potrebbe volerci il resto della prossima settimana per completare la lista.

I più ottimisti sono i 5 Stelle, che hanno anche diffuso un video dell’incontro «tecnico» tra grillini e leghisti. I primi hanno ospitato i secondi, ricevendoli con il capo della comunicazione a capotavola e distribuendo il volantino elettorale dei 20 punti votati sul blog. Non è certo questo il cuore della trattativa. Sui programmi, o «contratti», c’è grande margine di ambiguità. Prova ne sia che ieri, mentre i grillini giuravano di aver inserito il conflitto di interessi, la nota ufficiale escludeva l’argomento. E poi c’è sempre la possibilità di graduare gli impegni. Flat tax e reddito di cittadinanza, le rispettive promesse-bandiera, potrebbero essere questioni a tempo: rinviate al futuro o previste con una data di scadenza.

Salvini parla meno di Di Maio e dei 5 Stelle, sembra più prudente. Ancora non dà per fatto l’accordo e anzi avverte: «O si fa in tre giorni o si torna subito a votare». È la stessa pressione che il capo leghista ha messo in campo nell’ultima settimana, ma perde di credibilità con il passare dei giorni. Il voto a luglio a questo punto è l’unica cosa che si può escludere. Al Quirinale di certo non gradiscono il tentativo di sedersi alla regia della crisi. E mettono le mani avanti.

Il discorso di Mattarella per l’apertura della conferenza The state of the Union 2018 a Firenze è più lungo e più netto del solito. Molto duro contro le tentazioni antieuropee, definite «formule ottocentesche» e «narrativa sovranista pronta a proporre soluzioni tanto seducenti quanto inattuabili». Mattarella difende anche l’euro, «punto di riferimento concreto sul piano internazionale». Non si nasconde i problemi il presidente, ma avverte che la soluzione è sempre «una sola: Unione europea». Se in Italia ci sarà il primo governo sovranista nel cuore della vecchia Europa, allora ci sarà anche una coabitazione istituzionale.