Che c’è di nuovo nell’informazione dopo l’avvento del governo Conte? È mutato qualcosa rispetto al passato sul fronte del pluralismo? Ai tiggì dopo il cambio dei direttori che aria tira?

Alla prima domanda risponderemmo che non c’è niente di sostanzialmente nuovo.

Alla seconda che ciò che è mutato nello squilibrato pluralismo tv è lo spazio che si prende non tanto il governo, ma quella piccola parte di esso targata Salvini-Di Maio; quanto alla terza è ancora presto per dirlo ma i numeri, quelli dell’Agcom, ci raccontano di una sostanziale continuità col passato.

In quest’ultimo caso, ad esempio, ministri e premier che con i vecchi direttori ottenevano il 42% del tempo di parola a settembre e il 45% ad ottobre, sotto le nuove insegne si attestano (novembre) al 43%.

Al tg1, poi, se negli scorsi mesi avevano incamerato spazi da un minimo del 32% ad un massimo (ottobre) del 36,5%, a novembre scendono al 31,4%.

LA QUESTIONE PERÒ da capire è se comunque quello che è un evidente divario informativo a favore del governo nasca con l’avvento del potere gialloverde oppure sia un dato di più lunga durata.

Anche qui la risposta ce la dà l’Autorità di garanzia. Basta dedicare infatti un po’ di tempo e di attenzione alle tabelle Agcom, andando indietro per esempio sino al 2012, per rendersi conto che negli ultimi anni i tempi di parola concessi al governo nei telegiornali sono stati, tranne che per brevi periodi, di poco inferiori a quelli attuali, variando dal 35% al 45%, più contenuti solo nei momenti di par condicio elettorale, e con punte anche di oltre il 50% (dicembre 2015).

La differenza è che in passato a ritagliarsi la parte del leone non erano i vice come Di Maio o Salvini ma il Presidente del consiglio di turno.

QUESTO SMENTISCE LA TESI di Dalla Vedova e Mansi che per conto di + Europa a ottobre denunciavano all’Agcom la sovrarappresentazione delle forze di governo come «un dato inedito quanto alla dimensione e alla persistenza», mai «avvenuto in maniera sistematica e per un così duraturo lasso di tempo».

Purtroppo, come detto, non è stato così, almeno per le principali reti generaliste.

In questo quadro però c’è da aggiungere che, di recente, a La7 e a Sky dev’essere evidentemente scappata la mano, se negli ultimi sei mesi la prima ha garantito a premier e ministri oltre il 50% dello spazio di parola con punte del 58% tra giugno e agosto, e la seconda ha fatto altrettanto.

La vera anomalia dell’ «informazione del cambiamento», ci pare indubbio, appare la riduzione alla coppia SalviMaio della rappresentazione mediatica della nuova maggioranza, senza alcuna distinzione, come fa notare la delibera recente dell’Autorità di garanzia, tra le funzioni istituzionali dei soggetti coinvolti e quelle politiche di partito.

Il duo gialloverde si mangia buona parte dell’informazione sul governo, già sovradosata, comparendo nelle forme sempre più invasive della monocomunicazione social, e senza che nessun giornalista e nessuna testata, è il fatto allarmante, provi a porvi un argine.

Un fenomeno che si era dato anche in passato, naturalmente, ma che nella bulimia mediatica dei potenti di oggi sta assumendo forme ancora più preoccupanti e grottesche.

A CIÒ S’ACCOMPAGNA l’assenza di contraddittorio, anche questa segnalata dall’Agcom, non solo nei telegiornali ma nei vari programmi, dove i leader si presentano al cospetto del conduttore privi di qualsiasi contraltare politico, se non del tutto liberi da qualsiasi riscontro critico, supportati magari dagli applausi delle claques in studio.

Un giornalismo con la schiena dritta, infine, non dovrebbe mai concordare con i politici contesti di favore rispetto al format della trasmissione: qui fa male constatare come in qualche caso si siano cambiati i format pur di assecondare la presenza del leader.