Arriva in procura, a Potenza, senza avvocati ma scortata da quattro consulenti. Si trattiene tre ore. Esce con l’espressione sollevata, ringrazia i magistrati per la tempestività con cui la hanno convocata, quindi si dichiara affrancata da ogni ombra e ogni sospetto: «Dal punto di vista giuridico ho appreso definitivamente di essere parte offesa». Federica Guidi ha accettato di rispondere a tutte le domane, anche quando avrebbe potuto rifiutarsi, a proposito cioè del congiunto Gianluca Gemelli. I particolari sono ignoti, essendo l’interrogatorio stato secretato, e i pm si sono complimentati con l’ex ministra per aver rispettato rigorosamente la proibizione. Più discretamente, fanno sapere di essere assolutamente soddisfatti per la piena e totale collaborazione della signora, che in tutta evidenza ha scelto di dire tutto il dicibile e di tirarsi così fuori il meglio possibile dalla vicenda.

È comunque chiaro che la modifica della posizione di Federica Guidi, entrata in procura come «persona informata dei fatti», uscitane come «parte lesa», dovrebbe comportare un peggioramento in quella dell’uomo che una settimana fa lei stessa dichiarava di considerare «a tutti gli effetti mio marito». A questo punto lo stesso capo d’accusa a carico di Gemelli, al momento «traffico di influenze illecite», potrebbe cambiare, naturalmente in peggio. È infine quasi certo che, dopo averlo ascoltato nei prossimi giorni, i magistrati di Potenza torneranno a chiederne l’arresto.

Aldilà della posizione penale, l’ex ministra non ci fa proprio una bella figura, con quell’affannarsi ad accontentare le richieste sempre più pressanti di Gemelli. Ma questi sono in fondo affari suoi. Il punto è che dalla vicenda, e dalle intercettazioni che escono a valanga, a fare una figura molto peggiore è il governo nel suo complesso. Quando lo definiscono «un comitato d’affari» i pentastellati esagerano per difetto, non per eccesso. Sarebbe più preciso definirlo un agglomerato di comitati d’affari in competizione tra loro. Il commento del leghista Roberto Calderoli in questo caso è impeccabile: «Questa vicenda sta rivelando che nel monolitico governo Renzi si insultavano, tramavano, addirittura si producevano dossier e soprattutto facevano a gara per poter essere gli interlocutori dei cosiddetti poteri forti».

Ci sono la aziende per conto delle quali Gemelli perseguitava con la sua insistenza la potente compagna, così danneggiandola e facendone una «parte lesa». C’è «Valterone», al secolo Valter Pastena, costretto a lasciare la direzione dell’ufficio centrale del Bilancio per limiti d’età e che Gemelli insisteva per piazzare in postazione privilegiata nel ministero della Guidi. C’è la «cricca dei furbetti», come lei stessa la definisce, di cui fa parte il fidanzatissimo, ma sono «cricche», sempre stando alla signora Guidi, anche quelle che hanno piazzato il potente ministro dell’Economia Padoan e il sottosegretario a palazzo Chigi Claudio De Vincenti: «Pedine in mano al quartierino».

Il presidente del Consiglio ci fa a sua volta una pessima figura, soprattutto perché sotto i suoi occhi si sviluppano le trame delle varie cricche senza che lui si avveda di niente, come un qualsiasi Ignazio Marino alle prese con le manovre di Carminati e Buzzi a Roma. Anzi peggio perché Marino di qualcosina almeno si era accorto.

D’altra parte, la linea di condotta consistente nel favorire i poteri economici, in questo caso i petrolieri, parte proprio dal vertice del governo. Ovvio che poi la filiera di comando si uniformi. L’emendamento che premiava Total sbloccando Tempa Rossa formalmente è davvero del tutto lecito: nessuna legge vieta di presentare al senato una norma dichiarata inammissibile alla camera a notte fonda, né di ficcarla in una legge votata sotto il ricatto de voto di fiducia. Ma le considerazioni penali sono una cosa, quelle politiche un’altra.

Renzi, che per ora non riempirà la casella del Mise, assolve l’ex ministra e se stesso: «Guidi ha sbagliato ma non c’è illecito. Dire che noi siamo il governo delle lobby è una barzelletta». La quale però non lo fa affatto ridere, anche perché il nesso con il referendum sulle trivellazioni è evidente. Al senato Sinistra italiana, a firma della capogruppo De Petris, ha presentato un’interrogazione basata su uno studio del Wwf dal quale si evince che quasi la metà delle piattaforme che trivellano i mari italiani non è stata sottoposta alla Valutazione di impatto ambientale e che oltre la metà ha più di quarant’anni, ed è quindi in condizione di assoluta obsolescenza con conseguente impennata dei rischi. Lo schieramento del governo nel referendum rientra nella medesima categoria del famigerato emendamento: è un favore ai petrolieri.