È un venerdì di passione per il governo e forse i rapporti nella maggioranza gialloverde non sono mai stati così tesi come in queste ore. Con l’aumento dell’Iva che si avvicina e le elezioni europee che incombono, la routine quotidiana del ping pong di dichiarazioni e schermaglie tra Lega e Movimento 5 Stelle si incattivisce e si sedimenta attorno a due questioni: le magagne dell’amministrazione grillina di Roma e l’indagine che coinvolgerebbe il sottosegretario ai trasporti Armando Siri.

Dopo le polemiche seguite all’esposto dell’ex amministratore delegato di Ama circa le richieste della sindaca Virginia Raggi, Salvini rincara la dose e impallina il provvedimento che avrebbe dovuto consentire a Roma di uscire dalla gestione commissariale del suo debito. È un colpo basso al M5S, che fino a ieri considerava già chiusa la partita e che aveva già festeggiato il risultato convocando una conferenza stampa. La misura cosiddetta «Salva Roma» dovrebbe far parte del pacchetto di norme contenute nel «decreto crescita», che il presidente della Repubblica Mattarella aveva rispedito al governo. L’eccessivo intervallo tra la presentazione in consiglio dei ministri e la sua effettiva pubblicazione in Gazzetta ufficiale poneva dei dubbi sui requisiti di «necessità e urgenza» necessari per adoperare questo strumento legislativo. Tutto dunque era stato rimandato alla ripresa post-pasquale. E proprio martedì prossimo si riaprirà la contesa sul debito di Roma e l’intervento del governo. «Al decreto crescita ci stiamo lavorando – dice Salvini – Ma non penso ci siano comuni di serie A e comuni di serie B. Se vogliamo aiutare i comuni, sarò il primo a farlo. Ma se c’è un intervento per aiutare un solo comune, no». Poi l’ennesima stoccata: «Spiace che il M5S non sia in grado di amministrare la capitale del paese».

In difesa di Virginia Raggi si espone Luigi Di Maio, che definisce gli attacchi alla sindaca di Roma «una vera e propria sceneggiata mediatica». Dal M5S sottolineano la gravità delle accuse che coinvolgono Siri. L’indagine riguarderebbe i 30mila euro promessi al sottosegretario leghista dall’imprenditore ligure Franco Arata, il cui figlio compare tra i collaboratori di Giancarlo Giorgetti nella struttura della vicepresidenza del consiglio sulla programmazione economica. Il nodo è tutto politico e riguarda anche in questo caso la scrittura di decreti e regolamenti: tra le motivazioni che autorizzano le perquisizioni e con le quali sono stati passati al setaccio i conti e le carte di Arata, si legge che Siri avrebbe «asservito l’esercizio delle sue funzioni e dei suoi poteri ad interessi privati». Sotto l’occhio degli investigatori ci sono gli incentivi il mini-eolico. Resta il fatto che la norma che più interessava all’imprenditore non sarebbe stata mai approvata, circostanza che Di Maio ascrive al ruolo di controllo della componente 5 Stelle dentro l’esecutivo. L’indagine scotta perché coinvolge anche l’imprenditore siciliano Vito Nicastri, attualmente agli arresti domicili e ritenuto dagli inquirenti vicino al superboss Matteo Messina Denaro. «Trovo gravissimo che la Lega con così tanta superficialità ogni volta che gli gira minacci di far cadere il governo – attacca ancora Di Maio – Ma poi per cosa? Per non mettere in panchina un loro sottosegretario indagato per corruzione (che potrà poi rientrare nel governo laddove, mi auguro, si risolvesse positivamente la questione) sono pronti a far saltare tutto e a tornare con Berlusconi?».

Le deleghe di Siri sono state sospese dal ministro delle infrastrutture Danilo Toninelli. Il leghista afferma di «non sapere nulla di questa vicenda». Anche Salvini usa il doppio registro passivo-aggressivo, giura che la Lega non vuole mettere a rischio il governo: «La crisi di governo è solo nella testa di Di Maio – dice Salvini – Il quale farebbe bene a non parlare di porti aperti per gli immigrati e a controllare che il reddito di cittadinanza non finisca in mano a furbetti, delinquenti ed ex terroristi». I veleni paralleli virano poi sulle accuse reciproche di inciuci con altri partiti: dal M5S accusano la Lega di non avere mai troncato il cordone ombelicale con il centrodestra e con Silvio Berlusconi. I leghisti insinuano rapporti tra grillini e Pd.

I due contraenti del contratto di governo cercano di passarsi il cerino della crisi ma sperano ancora che l’esecutivo regga. Se la situazione dovesse precipitare, e se non dovesse costituirsi nessuna maggioranza alternativa in parlamento, anche di fronte a una crisi rapidissima e allo scioglimento istantaneo delle camere da parte di Mattarella, si potrebbe votare al più presto nella seconda metà di giugno. Oppure slittare a luglio o settembre, con un’inedita campagna elettorale estiva..