Il ministro del Lavoro Giuliano Poletti non accetta le critiche sul «Jobs Act» che arrivano dai giuslavoristi, sindacati e dalla sinistra Pd, senza contare il mondo del lavoro autonomo del tutto escluso dal provvedimento, salvo il rinnovato impegno del governo di contrastare il ricorso alle «false partite Iva». Secondo una stima dell’Isfol sarebbero 400 mila le persone che lavorano in maniera esclusiva per un datore di lavoro, ma con la partita Iva non con un contratto. Il ministero del lavoro ha costituito un gruppo ad hoc per mettere con le spalle al muro le aziende. «Non hanno più alibi» ha aggiunto Poletti. Alle «false partite Iva», infatti, il decreto nega la possibilità di ricorrere al giudice in caso di contenzioso con l’imprenditore o il datore di lavoro, ma dovrebbe allo stesso tempo obbligare questi ultimi a trasformare il rapporto di lavoro in un contratto a tempo indeterminato. Una battaglia fallita dalla riforma Fornero, che oggi il governo Renzi sembra intenzionato a vincere.
«Contesto in maniera radicale l’affermazione per cui il Dl precarizzi il paese – ha detto ieri Poletti durante un’audizione alla Commissione Lavoro del Senato – Il Dl mette in condizione le imprese di utilizzare i contratti a termine. Dopo quello a tempo indeterminato, questo contratto gode di tutte le tutele». Nell’ottica del governo un contratto a termine è meglio di altre forme più precarie di lavoro, ed è anche meglio di niente. Poletti ha confermato l’apertura alla riduzione del numero dei rinnovi dei contratti a termine. Il decreto ne ipotizza otto, si pensa di riportarli a quattro. Ma «nella sostanza pensiamo che debba essere approvato così come lo abbiamo proposto».
Se il fronte a favore del decreto sul lavoro ieri si è allargato all’alleanza delle cooperative, il soggetto guidato da Poletti fino a poche settimane fa, il provvedimento continua a dividere seriamente il Pd.

Ieri, infatti, il governatore della Toscana Enrico Rossi ha rivelato tutta la sua contrarietà con parole assai precise: «L’aspetto più critico di questi 36 mesi [la durata della cancellazione della «causalità» del contratto a termine, [ndr.] è che si prenda il passo di un precariato istituzionalizzato, Mi sembrano troppi, rischia di diventare un modello di assunzione che supera tutti gli altri. Mi pare una concessione al primo istinto di stomaco dell’imprenditoria». A rafforzare il fronte anti-Renzi e anti-Poletti dentro il Pd, e il mondo della sinistra, ieri in commissione lavoro è arrivato l’assessore alle attività produttive in Toscana. Gianfranco Simoncini ha rivelato un altro aspetto problematico del decreto: «Siamo preoccupati – ha detto – per il venire meno dell’obbligo del piano formativo per iscritto nell’ap’prendistato professionalizzante e la facoltà della formazione esterna perché rischiano di delineare una forma contrattuale diversa con la quale viene meno la natura del contratto».

Poletti tira dritto. Per lui l’apprendistato «è lo strumento principale per l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro». I dati dell’Isfol non sembrano dargli ragione. Nell’ultimo trimestre 2013 gli occupati con questa formula sono stati solo il 2,4%, 57.843 in tutto, -7% rispetto al 2012.