Recep Tayyip Erdogan non riesce a farsene una ragione. Vive come un attacco anche contro di lui il colpo di stato compiuto dai militari egiziani che hanno deposto il presidente e uno dei leader dei Fratelli Musulmani, Mohammed Morsi. Nel giro di un mese il premier turco è passato da una delusione all’altra. In casa ha dovuto fare i conti con la protesta popolare di Piazza Taksim contro i suoi progetti per il Gezi Park che ha assunto il carattere di rivolta contro il modello islamista turco messo in piedi in questi ultimi anni. Contemporaneamente sono arrivate le delusioni dal fronte siriano dove i ribelli sunniti e le opposizioni che ha ospitato, armato, finanziato e incitato a combattere contro Bashar Assad, sono ora sulla difensiva nella guerra contro l’Esercito governativo. Infine a metà settimana è arrivato il golpe militare che ha posto fine, almeno per ora, all’esperienza di governo e di potere di Morsi, uno dei perni, assieme al Qatar, del nuovo ordine islamista per il Medio Oriente post-“primavera araba” teorizzato da Erdogan, con Ankara in posizione egemone.

Al premier turco hanno “girato” parecchio. Tre giorni fa ha convocato addirittura un vertice d’emergenza per discutere della situazione in Egitto, al quale hanno preso parte il vice premier Bulen Arinc, il ministro degli esteri e “braccio armato” del governo Ahmet Davutoglu, il ministro della cultura e del turismo Omer Celik, il vice presidente del suo partito “Giustizia e Sviluppo” (Akp), Huseyin Celik, e l’influente deputato Mevlut Cavusoglu. In qualsiasi parte del mondo, ha notato Erdogan i colpi di stato militari contro governi democraticamente eletti rappresentano un danno nei confronti del popolo. «Il processo democratico deve essere immediatamente restaurato in Egitto e tutti i settori politici del paese devono partecipare alle elezioni», ha intimato il premier turco. Che certo non dimentica che la storia politica del suo Paese è stata segnata da tre colpi di stato militari, dal 1960 al 1980, scattati per “proteggere la laicità dello Stato”, prima che le potenti Forze Armate turche, accettassero l’ascesa al potere degli islamisti. Erdogan non ha torto nel condannare l’evidente violazione della legittimità compiuta dai militari egiziani a danno di Morsi, scelto dal voto popolare appena un anno fa. Tuttavia il premier turco non può proporsi come paladino del rispetto della democrazia e della legalità di fronte alla repressione brutale che proprio lui ha ordinato appena qualche giorno fa contro i dimostranti di Gezi Park e per la negazione dei diritti dei curdi.

«La Turchia ha avvertito più di ogni altro Stato (della regione) l’onda d’urto politica del golpe in Egitto, a causa proprio del conflitto in corso (al suo interno) tra laici e islamisti», spiega l’analista turco Semih Idiz. «Nessuno in Turchia appoggia il colpo di stato militare in Egitto, sarebbe politicamente incorretto tenendo conto della storia del nostro Paese. Tuttavia il campo laico comprende meglio di quello avverso le ragioni che sono dietro gli sviluppi in Egitto», aggiunge Idiz. Secondo l’analista la sorte subita da Morsi rappresenta un colpo duro alle ambizioni di Erdogan poichè abbatte un pilastro di quella “fratellanza” tra movimenti islamisti della regione che si stava consolidando e che «si è manifestata attraverso la conquista del potere con le elezioni e poi con l’approvazione da parte dei Parlamenti di leggi di orientamento islamico, senza tenere conto della complessità sociale». Un dato che, conclude Idiz, avvicina molto Erdogan a Morsi, se si tiene conto delle leggi che entrambi hanno introdotto nei rispettivi Paesi.

L’opposizione turca da parte sua non ha perso tempo nel sottolineare le ramificazioni in Turchia degli avvenimenti egiziani. Kemal Kilicdaroglu, leader del principale partito di opposizione, Chp, da un lato ha condannato il golpe al Cairo e dall’altro ha avvertito che sbaglia chi (come Erdogan) pensa che la democrazia si realizzi solo con le elezioni. Devlet Bahceli, leader del partito nazionalista Mhp, che raramente commenta gli eventi internazionali, ha esortato Erdogan a far tesoro della vicenda egiziana. Ma la batosta più dura per il premier turco è venuta dai petromonarchi del Golfo che, guidati dal re saudita Abdallah, si sono affrettati a congratularsi con il presidente egiziano ad interim Adly Mansour, imposto dai militari. Persino il Qatar, alleato stretto della Turchia in tanti intrighi diplomatici e nel sostegno ai ribelli anti-Assad. Erdogan sa di essere più solo.