«Il Golan? Ne faremo un giardino, il Golan sarà un enorme giardino per tutti, per israeliani e siriani. Importante non è il territorio ma la pace e avviare relazioni diverse. Io immagino una confederazione tra i due Paesi. I confini non sono rilevanti». Così, sorridente, Kamal al Labwani, siriano ed esponente dell’opposizione al governo di Damasco, ci ha detto al termine dell’incontro con la stampa organizzato ieri a Gerusalemme per illustrare il suo piano per la creazione di una “zona sicura per i civili” sul versante siriano del Golan occupato da Israele nel 1967.

Una “zona sicura” dove, ha affermato al Labwani, «far transitare e arrivare aiuti umanitari» lunga ben 23 chilometri e profonda 10. Di fatto sarebbe è una “zona cuscinetto”, una “fascia di sicurezza”, volta a proteggere Israele e a garantire libertà di movimento ai “ribelli” armati. Un progetto che ricorda molto da vicino le «aree umanitarie» proposte dalla Turchia di Erdogan per occupare porzioni di territorio siriano a vantaggio dell’opposizione anti Assad. «Noi siriani dall’altra parte del confine (sul Golan) cerchiamo la tranquillità – ha spiegato al Labwani – ma saremo pronti a difendere la ‘zona sicura’ contro le minacce di Hezbollah e dell’Iran e anche lo Stato islamico. Il problema comunque è Hezbollah che vuole arrivare con i suoi uomini fino al confine e attaccare Israele. Noi non lo permetteremo».

Chi sia Kamal al Labwani e quanto rappresentanti l’opposizione siriana cosiddetta “moderata” non è facile dirlo. Di lui si sa che è un medico, che è stato imprigionato a Damasco negli anni 80 e dopo il 2000 e sarebbe autore di inizitive per le riforme nel suo Paese. I suoi contatti con Israele, avviati dopo l’inizio della guerra civile nel 2011, si sono intensificati negli ultimi due-tre anni. Ha visitato più volte lo Stato ebraico e questa volta è arrivato fino a Gerusalemme con in tasca la proposta della “zona sicura” elaborata con l’aiuto di Motti Kahana, un israeliano-americano nato e cresciuto ad Aleppo che negli Stati Uniti sta trovando appoggi ed finanziamenti. Al Labwani afferma che il suo viaggio non prevede incontri con i vertici israeliani ma nei giorni scorsi è stato alla Knesset e ha avuto colloqui con molti parlamentari. «Mantengo rapporti con la Coalizione Siriana (dell’opposizione) ma non ne faccio più parte stabilmente», ha ripetuto in un paio di occasioni, aggiungendo che «i dirigenti della Coalizione operano all’estero, vivono a Istanbul mentre io sono tra la gente nel sud della Siria. Loro sono lontani dalla realtà sul terreno che io conosco molto bene. Non ho un partito alle spalle ma so che tanti gruppi (armati) che operano nel sud della Siria sono dalla mia parte e vogliono avere rapporti con Israele e la costituzione della ‘zona sicura’».

Come un po’ tutti gli oppositori anti Assad anche al Labwani critica i Paesi europei e quelli confinanti con la Siria che si oppongono o ostacolano l’ingresso dei profughi siriani. Non muove alcuna critica invece all’Arabia saudita, nemica di Assad, che non ha accolto neppure un rifugiato pur intervenendo nel conflitto sponsorizzando e rifornendo di armi varie formazioni jiahadiste e ora minaccia di inviare sue truppe in Siria. Al contrario, al Labwani ha parole di elogio per Riyadh. «Mi recherò presto in Arabia saudita che, ne sono certo, fornirà aiuti e armi ai siriani che, se necessario, difenderanno la ‘zona sicura’» ha annunciato. L’oppositore siriano non chiede a Israele di accogliere profughi. In ogni caso, il governo Netanyahu ha ripetuto che non riceverà siriani in fuga dalla guerra (e neppure i migranti e richiedenti asilo africani che bussano alle porte meridionali del Paese). «A Israele chiediamo solo di consentire in caso di urgenza umanitaria o a causa di bombardamenti di Assad o dei russi di lasciare arrivare i siriani fino ad Haifa da dove potranno imbarcarsi», ha detto al Labwani.

La “zona sicura” a prima vista potrebbe apparire un progetto molto astratto, senza concrete possibilità di realizzazione. Il silenzio del governo Netanyahu però non deve ingannare. Israele, lo ha detto apertamente anche al Labwani, mantiene ormai rapporti stabili con i gruppi armati dell’opposizione siriana che operano tra Deraa e il Golan. Quando Tel Aviv creò alla fine degli anni 70 la fascia di sicurezza in Libano del sud si rivolse, per presidiarla, a miliziani locali, agli ordini prima di Saad Haddad e poi di Emile Lahoud. Potrebbe optare per una soluzione simile anche sul confine con la Siria, se Kamal al Labwani, come afferma, può parlare a nome di migliaia di siriani pronti a «difendere se stessi e Israele» e, naturalmente, a rinunciare al Golan.