L’ascolto gentile, il nuovo libro di Eugenio Borgna (Einaudi, pp.176, euro 18), sotto alcuni profili è diverso dai suoi precedenti, ai quali però è al contempo simile dal punto di vista del clima emotivo in cui è immerso. Il tema è pur sempre quello della malattia mentale, del disagio psichico ed esistenziale; e qui come sempre Borgna mette in gioco sé stesso e la propria esperienza di psichiatra lunga una vita.

MA IL TONO, rispetto ai lavori del passato, si fa più disteso, più colloquiale, talora quasi narrativo: e basti pensare alle pagine introduttive su Germana, che Borgna aveva conosciuto nella sua prima giovinezza, con la quale leggeva poesie e faceva lunghe passeggiate e che poi, dopo averla persa, avrebbe ritrovato paziente nel manicomio di Novara, infine per perderla ancora. Sono pagine a metà fra «la ricostruzione di una storia clinica» e «la sua reinvenzione», e Germana ha tratti che l’avvicinano al personaggio di un romanzo.

Inoltre, qui come sempre la letteratura e la poesia rappresentano l’orizzonte di fondo dei discorsi di Borgna, nella convinzione che la parola poetica, più di quella analitica, sia capace di toccare e svelare gli abissi dell’anima; ma questa volta lo sono in maniera più sfumata, perché il centro dei discorsi non è costituito qui da una parola tematica, che venga indagata anche attraverso il racconto di casi clinici, bensì accade l’esatto contrario. L’ascolto gentile pone al centro della sua indagine alcuni casi clinici, tutti femminili, in sé e per sé considerati (alcuni di depressione psicotica, cioè «radicata nella malattia», altri di depressione invece scaturente da tragedie della vita, altri ancora di schizofrenia), ed è semmai dal racconto dei singoli casi, per effetto di un percorso inverso, che scaturiscono riflessioni anche sulle parole tematiche che da sempre a Borgna stanno a cuore: la fragilità, la gentilezza, la tenerezza, l’attesa e la speranza, la malinconia, la depressione, la solitudine.
Ed è proprio sotto questo aspetto che Borgna rimane sempre fedele a sé stesso, al proprio modo di intendere la psichiatria: non come semplice scienza che compie diagnosi e somministra farmaci, ma come relazione dialogica fondata sul riconoscimento del fatto che le sofferenze di chi è curato potrebbero essere anche di chi cura e che anzi lo sono, perché curare vuol dire creare una «comunità di cura».

DI PIÙ: UNA «COMUNITÀ di destino», una «comunione esistenziale» attraverso la quale sia possibile costruire nuovi orizzonti senso.
È una psichiatria «umana e gentile» (le cui radici culturali affondano nella fenomenologia di Husserl e Jaspers) quella che Borgna impersona e propone, che alla terapia farmacologica accompagni la disponibilità all’immedesimazione nel paziente, al farne proprie le emozioni, le angosce, le speranze e le disillusioni.

OCCORRE, PIÙ DI TUTTO, disponibilità all’ascolto, e ascoltare non solo significa prestare attenzione ma equivale quasi a una forma di preghiera e corrisponde alla medesima area semantica della responsabilità (verso gli altri, verso chi chiede ascolto). Significa saper trovare il giusto e difficilissimo equilibrio fra parole e silenzi, in una «distanza morbida e flessibile che evita sia una debordante vicinanza, una divorante empatia, sia una astratta lontananza, che sarebbe vissuta come glaciale indifferenza».
Le cose che dice Borgna a questo riguardo sono dotate di un valore umano e politico tout court, molto al di là del loro contesto specifico, e dovrebbero contribuire a fondare una nuova etica comunitaria.