Alias Domenica

Il Giulio Cesare di Händel all’Opera di Roma

Il Giulio Cesare di Händel all’Opera di RomaGiulio Cesare in Egitto a Parigi, regia di Damiano Michieletto, Théâtre des Champs Elysées, foto Vincent Pontet

Improvvisi «Giulio Cesare in Egitto» di Händel, un capolavoro che torna a Roma

Pubblicato 12 mesi faEdizione del 1 ottobre 2023

«Misera vita! oh, quanto è fral tuo stato! / Ti forma un soffio, e ti distrugge un fiato», dice Giulio Cesare, poco dopo l’inizio del primo atto dell’opera che Händel gli ha dedicato, contemplando la testa mozza di Pompeo che Tolomeo gli ha fatto pervenire, credendo così d’ingraziarsene il favore. Quella vista tocca Cesare profondamente e, come Enrico V nella tragedia di Shakespeare, egli riflette sulla caducità del fasto umano: sul monologo del re inglese Erich Auerbach scrisse in Mimesis pagine indimenticabili. Pagine altrettanto intense meriterebbe il recitativo accompagnato che Händel, nel Giulio Cesare in Egitto, affida al Senesino, il cantante che, nella rappresentazione londinese del 1724, interpretò la parte del condottiero romano. Segno che i castrati non erano solo mirabili virtuosi, ma anche formidaili attori. L’opera – su libretto di Nicola Francesco Haym, che riscrive quello del 1677 di Gianfrancesco Bussarli – ebbe un immenso successo, non solo in Inghilterra. Si inserisce in un filone di riflessioni teatrali sulla storia: Shakespeare a Londra era sempre attuale e Händel era un assiduo frequentatore di teatri, ma anche un appassionato lettore, soprattutto del teatro francese. Come non pensare allora al Britannicus di Racine? Winton Dean, nella voce che dedica a Händel per il Grove Dictionary of Music and Musicians, sostiene che il compositore di Halle è la figura di drammaturgo musicale più complessa che incontriamo tra Monteverdi e Mozart, sia per varietà di caratteri e intensità espressiva, sia per forza e costruzione drammatica.

Di pagine sublimi il Giulio Cesare in Egitto è pieno, dall’inizio alla fine. Perfetta, poi, la costruzione drammaturgica. Händel usa in modo sapiente le convenzioni retoriche del tempo. Le pagine sulle passioni umane di Cartesio, Pascal, Spinoza, devono avergli suggerito in che modo gli affetti possano essere rappresentati a teatro dalla musica: l’aria è la forma in cui si concentra la passione del personaggio, laddove nei recitativi è condotta l’azione. Händel non cerca, come Monteverdi, di adeguare il canto alla prosodia delle parole; si sforza invece di costruire un’architettura musicale analoga alla figura retorica che deve individuare la passione da rappresentare. In questo modo, mentre salva l’autonomia della scrittura musicale, che ubbidisce a regole esclusivamente musicali, piega la stessa struttura musicale a rappresentare l’affetto, cioè il sentimento, diremmo oggi, che in quel punto del dramma domina il personaggio. Un largo lamentoso può rappresentare il dolore, un allegro concitato il furore dell’ira. Si badi: rappresentare, non esprimere, come crederanno e diranno i romantici. Tra musica e linguaggio non esistono, per Händel, identità, equivalenze, ma solo analogie, metafore, allusioni simboliche. Il recitativo accompagnato di Cesare, per esempio, a suggerire l’improvvisa e insolita riflessione sui destini umani, poiché interrompe l’azione del dramma, è scritto nella rara tonalità di sol diesis minore: cinque diesis in chiave, e poi modula nella tonalità enarmonica di la bemolle minore: sette bemolli in chiave.

L’insolito dell’azione – ma la riflessione sulla caducità della gloria umana è un topos – è rappresentato dall’insolito musicale. Altro momento sublime è il lamento di Cleopatra, nel terzo atto, in cui la regina crede svanita ogni speranza di trono e di sopravvivenza: «Piangerò la sorte mia». È un’aria con il da capo. La sezione centrale è uno scatto d’ira in contrasto con il tono dolente del pianto che l’avvia e la conclude. Dopo venticinque anni di assenza, questo capolavoro del teatro di tutti i tempi, e non solo del teatro musicale, si potrà vedere e ascoltare al Teatro dell’Opera di Roma, dal 13 al 21 ottobre, diretto da Rinaldo Alessandrini e messo in scena da Damiano Michieletto: Raffaele Pe nella parte del titolo, Mary Bevan in quella di Cleopatra. Solo quattro le repliche, e l’11 ottobre un’anteprima per i giovani.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento