Certo, quando Sabrina Ferilli pubblicizza con tanta enfasi i divani Poltronesofà, a nessuno potrà venire in mente lo sfruttamento che si nasconde dietro quel marchio. Ha fatto luce una recente sentenza del tribunale di Torino, che ha reintegrato tre commesse licenziate perché non avevano accettato di certificare i propri contratti come autonomi. Sostenevano, nonostante il rapporto di «associate in partecipazione» che le legava da tempo all’azienda, di svolgere lavoro subordinato: e il giudice ha dato loro ragione.

Avevano obblighi di presenza, turni, orari stabiliti unilateralmente dai capi, così come le ferie. Una vera sfacciataggine, qualificarle come lavoratrici autonome. Ma si sa, le imprese sono capaci di questo e altro. Ma la cosa più interessante è che Poltronesofà, al momento dell’entrata in vigore della riforma Fornero (ci riferiamo ovviamente a metà 2012), ha fatto una corsa per ottenere nero su bianco, dai suoi addetti alle vendite, la certificazione che di pura prestazione autonoma si trattava. Uno sballo.

La legge Fornero prevede infatti che in ogni punto vendita non si possano avere più di tre addetti «associati in partecipazione» (Aspo, una forma particolare di parasubordinazione, diversa sia dal contratto a progetto che dalla partita Iva) oltre i familiari del titolare fino al secondo grado di parentela. Facile applicare questa regola sui piccoli esercizi familiari, mentre più ambigua è l’applicazione sulle grosse catene (la norma è scritta in modo tale che la parola «attività» a cui si riferisce non si capisce se sia il singolo negozio di un brand o tutti i suoi punti vendita, senza contare il franchising). In ogni caso, Fornero aveva previsto che chi avesse certificato i rapporti di lavoro entro luglio 2012, avrebbe potuto mantenerli in essere comunque, al di fuori della regola dei 3 addetti.

Ligia alle regole, l’azienda testimoniata dalla Sabrina nazionale, ha quindi «chiesto» immediatamente alle commesse di recarsi presso due commissioni di certificazione (una è la Fondazione Marco Biagi dell’Università di Modena e Reggio Emilia, l’altra l’Ordine dei consulenti del Lazio): abbiamo usato le virgolette perché lo stesso giudice, nella sentenza, ha ravvisato di fatto un obbligo imposto da Poltronesofà alle sue addette. E secondo il Nidil Cgil dietro c’era anche un ricatto: «O firmate la certificazione, o vi rescindiamo il contratto: questo è stato detto a tutti i commessi all’entrata in vigore della Fornero – spiega Roberto D’Andrea, segretario nazionale Nidil – E infatti le tre ragazze che hanno rifiutato di certificarsi, e si sono rivolte a noi, sono state licenziate in tronco».
Salvo poi essere reintegrate dal giudice. Quindi, alla lunga, la loro «ribellione» alle poltronissime ha pagato. E cosa succederà ora agli altri addetti degli oltre 160 negozi Poltronesofà  in tutta Italia? Si parla, a occhio e croce, di almeno 500 persone già «certificate»: la sentenza cambierà il loro destino?

«Difficile dirlo – dice D’Andrea – Noi abbiamo allertato l’Ispettorato del Lavoro, abbiamo chiesto con Cisl e Uil un incontro all’azienda, e presto lanceremo una campagna. Ma il Collegato Lavoro di Sacconi, del 2010, ha purtroppo “blindato” le certificazioni. E una volta che hai firmato, per il giudice è complicato intervenire. Per questo motivo consigliamo sempre: non firmate mai le conciliazioni richieste, ma prima passate dal sindacato».