Il tribunale civile di Napoli ha rigettato il ricorso presentato dal Movimento 5 Stelle contro la sospensione di statuto e cariche. Non si può dire che la decisione sia un fulmine a ciel sereno: tra i 5 Stelle da tempo circolava rassegnazione sulla scelta di presentare il ricorso e troppo azzardata pareva la linea scelta dai legali di Giuseppe Conte. Si sosteneva che esistesse un regolamento interno che determinava l’esclusione dal voto online degli iscritti da meno di sei mesi e che queste norme fossero note a tutti e da tutti date per assodate. L’unico all’oscuro, sosteneva la linea difensiva del M5S, era Giuseppe Conte, che l’ex presidente del comitato dei garanti e poi reggente Vito Crimi aveva dimenticato di ragguagliare. Per i giudici di Napoli, la mancanza di Crimi, che doveva sanare la situazione, addirittura si va ad aggiungere alle ragioni che hanno condotto al rigetto del ricorso.
A questo punto si attende la decisione del garante Beppe Grillo, che senza troppa convinzione aveva deciso di accogliere la richiesta di Conte, accettando la strategia del ricorso. In capo al fondatore, attuale garante e unica carica formale dei 5 Stelle, potrebbero ricadere i prossimi problemi legali.

Dai vertici del M5S, intanto, si dice di volere andare avanti come se nulla fosse. La decisione del tribunale, dicono i 5 Stelle, «non mette in discussione l’esistenza e la regolarità del regolamento del 2018 su cui è stata fondata l’esclusione dalla votazione degli iscritti con meno di sei mesi». Ciò consentirebbe loro di procedere con le votazioni «già prefissate per il 10 e 11 marzo per l’approvazione dello statuto, con le modifiche suggerite dalla Commissione di garanzia degli statuti dei partiti politici». Si voterà sulla piattaforma SkyVote (e non su Rousseau, come prescriverebbe lo statuto tornato in vigore dopo la sospensione) e dalla consultazione saranno ancora una volta esclusi gli iscritti da meno di sei mesi. Il che pone seri dubbi sulla validità di questo ulteriore passaggio, visto che le nuove regole dovrebbero semmai essere messe ai voti da un comitato direttivo.
«Francamente non comprendo questa coazione ad aggiungere problemi ad altri problemi enormi», commenta l’avvocato Lorenzo Borrè, che ha patrocinato il ricorso degli iscritti al M5S da cui è scaturita la sospensione. Più volte Borrè ha detto di essere disponibile a fornire «gratuita consulenza» al M5S per districarsi nelle questioni di regolamento. Ieri lo ha fatto scrivendo a Luigi Di Maio, presidente (seppure dimissionario) del decaduto comitato dei garanti. In qualità di iscritto dal marzo 2021, dice di non aver ricevuto alcuna convocazione al voto che si apre domani, constata che questa votazione viene indetta dai garanti la cui nomina è stata sospesa dai giudici ed elenca le circostanze che inficerebbero anche questa consultazione online. Anche dalla piattaforma Rousseau annunciano un ricorso, questa volta penale, per il trattamento dei dati.

Dal M5S minimizzano: «Si tratta di questioni formali, il merito politico dell’investitura dell’ex premier rimane», è la linea. Conte si muove ancora da leader e macina iniziative. Questa mattina presenterà insieme ai capigruppo e al parlamentare europeo Fabio Massimo Castaldo una proposta per modificare il Patto di stabilità europeo. Ma non ha pieni poteri. In questi giorni, ad esempio, il M5S deve affrontare il caso del senatore Vito Petrocelli, presidente della commissione esteri che ha votato in difformità dal resto del M5S (e di quasi tutto l’arco parlamentare) sull’invio di armi in Ucraina. I membri della commissione ne chiedono le dimissioni. Conte lo copre, dice che Petrocelli ha esercitato la sua carica in maniera imparziale, anche perché sa che la questione delle armi tocca un nervo scoperto tra i suoi parlamentari. Ma c’è di più, dicono i suoi a mezza bocca: se anche decidesse di rimuoverlo, non avrebbe nessun titolo formale per farlo.