Grazie alle denunce di Medicina democratica e a un certosino lavoro della procura di Livorno e dei finanzieri aeronavali elbani, la Solvay ha sottoscritto l’impegno di spendere 6 milioni e 700mila euro per le bonifiche ambientali nell’area delle Spiagge bianche di Rosignano. Che sono un tradizionale set di servizi fotografici para-caraibici, e ogni estate vengono prese d’assalto dai vacanzieri. Ma sono anche, secondo il programma Unep delle Nazioni Unite per l’ambiente, uno dei 15 tratti costieri più inquinati del Mediterraneo.

La multinazionale della chimica questa volta non si è impegnata con le istituzioni ma con il giudice delle indagini preliminari. Il magistrato ha posto una serie di condizioni per accettare il patteggiamento proposto dalla Solvay per quattro suoi dirigenti, accusati di aver permesso che si scaricassero abusivamente in mare concentrazioni eccessive di fanghi industriali residui delle lavorazioni. I finanzieri e gli analisti di laboratorio, coordinati dal pm Giuseppe Rizzo, hanno infatti accertato dopo quattro anni di indagini l’esistenza di “un sistema di scarichi non mappati, che permettevano all’azienda di diluire sostanze come mercurio, piombo, selenio e fenoli vari, affinché nel momento in cui questi arrivavano a valle risultavano in regola con i parametri previsti dalle normative di legge”.

Le indagini hanno riguardato gli scarichi degli impianti clorometani, perossidati, sodiera ed elettrolisi, e di tutto il sistema di fossati che confluiscono nel “fosso bianco”, il collettore che sfocia alle Spiagge bianche. La diluizione preventiva degli scarichi con le acque di mare permetteva alla Solvay di passare indenne i controlli dell’Arpat, l’agenzia di protezione ambientale. Solo grazie a ripetuti campionamenti negli anni, e ai risultati di tre consulenze tecniche richieste dalla procura labronica, la multinazionale ha riconosciuto le sue responsabilità per arrivare al patteggiamento. L’ex direttrice dell’impianto Michéle Huart dovrà versare 29mila euro, e i tre dirigenti Fabio Taddei, Davide Mantione e Massimo Iacoponi fra gli 8 e i 12mila euro.

Ben più impegnativi i quasi 7 milioni di euro necessari per la bonifica dei terreni inquinati e la messa in sicurezza del sito industriale. Entro il 2014 Solvay deve realizzare un impianto per il trattamento dei reflui, e la pulizia della vasca da 10mila metri cubi di diversione della sodiera. Inoltre è stata imposta la pulizia di tutti i fossi e canali, e un primo spostamento del punto di campionamento a monte della confluenza di tubature provenienti dall’impianto fognario urbano, visto che nel “fosso bianco” ci finivano anche i reflui civili.

L’intervento della magistratura si è rivelato quanto mai necessario, visto che la multinazionale ha il vizio di non venire a patti anche con le sue stesse promesse. Un accordo di programma sottoscritto nel 2003 con il ministero e gli enti locali prevedeva di ridurre del 70% lo scarico a mare dei fanghi di lavorazione. In altre parole si doveva raggiungere nel 2007 la soglia delle 60mila tonnellate l’anno. Ma nel 2008 lo stabilimento ne versava in mare ancora 120mila, l’anno scorso poco meno. Su questo fronte la partita si sta giocando al ministero dell’ambiente, che dovrebbe dare l’ok al rinnovo dell’Aia (autorizzazione integrata ambientale) per l’intero sito industriale. Il condizionale è d’obbligo, visto che Solvay sostiene che le direttive europee sulle “migliori tecniche disponibili” (Bat) sarebbero meno stringenti, e permetterebbero addirittura lo scarico a mare di 200mila tonnellate annue di fanghi. Il nodo, insomma, resta tutto da sciogliere.