Argentina «en desacato»: inadempiente e sprezzante rispetto agli obblighi di legge prescritti da una corte nazionale o internazionale. È la nuova trovata del giudice statunitense Thomas Griesa, che pesca nella rarità giuridica pur di tenere la scena in difesa dei «fondi avvoltoi»: fondi speculativi che pretendono dal governo di Cristina Kirchner il pagamento di 1.330 milioni di dollari (oltre un miliardo d euro) più gli interessi, a risarcimento del debito derivato dal default del 2001.

Un debito che ammontava a circa 100 miliardi di dollari e che il governo ha proposto di pagare scambiando le obbligazioni contro nuovi titoli «ristrutturati», corrispondenti al 70% del valore iniziale. Trattative accettate dal 76% dei creditori nel 2005, e dal 93% nel 2010.

Una piccolissima ma agguerrita percentuale di creditori, tra i quali Nml Capital, diretta da Paul Singer, decide però di attuare una strategia speculativa ben collaudata in altre situazioni analoghe del sud del mondo (Africa in primis). Dietro la testa di ponte Nml Capital, compra titoli del default a circa l’80% in meno, pagando solo 20 centesimi per ogni dollaro di debito acquistato. Poi si rivolge ai tribunali per pretendere un risarcimento sull’intera somma. E a nulla valgono i ripetuti tentativi argentini di trattare con loro sulla stessa base con la quale è stato ristrutturato il debito della maggioranza.

Il giudice Griesa accoglie le richieste degli «avvoltoi». Il 21 novembre del 2012 ordina all’Argentina il pagamento della stratosferica somma richiesta. Buenos Aires si rivolge alla Corte suprema Usa, ma questa, il 16 giugno del 2014, rimanda il caso a Griesa. A fine agosto, il giudice blocca anche la rata di versamenti che il governo argentino invia ai fondi ristrutturati nelle banche newyorchesi: quei soldi – decide – rimangono congelati finché Buenos Aires non soddisferà gli appetiti degli avvoltoi. «L’Argentina è nuovamente in default», titolano i grandi media.
Una posizione respinta da Cristina Kirchner che inizia una intensa campagna (e produttiva) diplomatica. Buenos Aires preme anche sulla Citibank affinché chieda lo sblocco dei soldi, pena una multa salata. Sollecitato in questo senso, Griesa concede lo sblocco dei soldi, ma offre agli avvoltoi 30 giorni di tempo per contestare la decisione. E poi tira fuori dal cappello magico la questione del «desacato»: l’Argentina ha agito illegalmente cercando di aggirare la sentenza, dice il magistrato. E in questo modo mette un altro ostacolo al pagamento della prossima rata ai fondi ristrutturati. Gli avvoltoi avrebbero anche preteso che multasse l’Argentina per 50.000 dollari al giorno, ma fin’ora non vi sono sanzioni.

Per gli avvocati argentini e per il governo, si tratta di una sentenza inapplicabile a uno stato sovrano: a meno che il giudice Griesa non decida di chiedere l’intervento del Dipartimento di stato Usa. L’ambasciata argentina ha inviato una lettera di protesta a Washington in cui afferma che la decisione di Griesa «implica un’escalation senza precedenti, peggiore anche di quella presa per trattenere o impedire il pagamento alla maggioranza dei fondi ristrutturati. Non si tratta – prosegue la lettera – solo del danno arrecato ai diritti di terze persone, ma di un colpo ulteriore alla sovranità della Repubblica argentina».

Un terremoto finanziario e politico colpisce un paese che ha sempre onorato i suoi pagamenti e che non ha scaricato sui più deboli gli sforzi per venir fuori dalla tremenda crisi del 2001. Durante i governi Kirchner, la forbice della disuguaglianza è diminuita e la povertà si è ridotta di oltre il 75%. Sullo sfondo del caso «avvoltoi», emergono le guerre feroci tra lobby e potentati politici Usa (in primis quelle interne allo stesso governo Obama). Emerge la scelta di campo di Cristina nel continente latinoamericano, poco gradita a Washington. Ieri (troppo tardi per il nostro giornale), la presidente ha nuovamente parlato al paese.