Il Giro è finito. Un po’ troppo all’improvviso, con questa sparata di trenta chilometri tra Monza e Piazza Duomo dominata da Van Emden. Come per non dare tempo, ai corridori e a noi che siamo al seguito, di pensare che qualcosa di diverso si sarebbe potuto fare, e non si è fatto.

Ha vinto Tom Dumoulin, il primo olandese in cento edizioni. Sul podio gli fanno compagnia Nairo Quintana e Vincenzo Nibali. Nibali inseguiva la tripletta, Quintana il bis. L’indio di Combita sognava l’accoppiata Giro/Tour lo stesso anno. L’ispirazione l’ha presa, ripete ancora, da Pantani, l’ultimo a riuscirci. Gliel’ha impedito l’olandese, oltre ad una condizione ballerina per via di alcuni attacchi di febbre che lo hanno debilitato proprio nel suo habitat, in montagna. Vedremo di qui ad un mese come si presenterà in Francia, ma, riuscisse ad insidiare il regno di Froome, smentirebbe i negromanti delle tabelle e dei picchi di forma. Nibali ancora non sa se sarà della partita pure a luglio; per ora finisce tra i battuti, e l’impressione è che per la strada dello Stelvio soprattutto lui abbia perso l’occasione per dare tutt’altro senso alla vicenda. Rimane sua, proprio in quella tappa, l’impresa più bella di queste settimane, nonché l’unica vittoria tricolore. E rimane la certezza che in questo Giro un nuovo re si è preso il trono delle volate, Gaviria il Magnanimo.

A Milano si arrivava oggi, e da Milano si erano mossi i pionieri per la prima volta nel 1908. Non dal Duomo, per evitare tumulti tra gli appassionati, e nottetempo, perché per arrivare a Bologna, senza assistenza e con le strade di allora, la via era lunga. Fatiche sovrumane, distacchi abissali, bici che allora dovevano apparire prodigi della tecnica, ma che oggi i migliori faticherebbero a trascinare per il Gavia o il Mortirolo. Anche alla rivoluzione tecnica si attribuisce l’equilibrio estremo delle corse. Non sempre un equilibrio proiettato, checché se ne dica, verso l’alto.

Ma ora si deve celebrare Dumoulin, la farfalla scappata via dal retino per riprendere il volo spiccato tra Foligno e Montefalco, e che su e giù per le alpi pareva, a un certo punto, compromesso. Se troverà apparecchiati percorsi adatti (può darsi che per il ciclismo di oggi settanta chilometri complessivi a cronometro producano in corsa uno squilibrio troppo grande) è forse destinato a ripetersi nella grandi corse a tappe.

Di sicuro c’è che l’anno prossimo, ancora una volta, ci sarà un sacco di gente per la strada ad assistere alla caccia.