Dove la barriera è il mare. Spinaceto è un quartiere periferico di Roma sud, vi risiede un globetrotter i cui viaggi avventurosi hanno l’abilità opposta alla sua disabilità apparente. Fabio Migli è uomo di bell’aspetto, conosce varie lingue e rifiuta la carrozzella motorizzata per impedire la pigrizia alle sue efficienze fisiche.

«LO SCOPO DEI VIAGGI è quello di farli con lentezza, viverli incontrando le persone, le culture, sfidando le situazioni, stando nel budget limitato che posso permettermi, dormendo nelle steppe, nei deserti, nei campi, nella taiga siberiana, nei boschi, ovunque io trovi un posto isolato per piazzare l’automobile, sistemare le mie cose, lavarmi, mangiare, gonfiare il materassino per la notte, guardare le stelle. Gli alberghi non li cerco neppure: in paesi come Belucistan, Afghanistan, Pakistan, Iran, India, Nepal, Tibet, Cina, Mongolia, tutti i paesi dell’ex Unione Sovietica… non sono facili o hanno costi insostenibili. Ogni anno viaggio per sei, sette, otto mesi, ho bisogno di libertà, conoscere gente, ho cominciato così appena presa la patente nel 1983, a vent’anni, prima in Germania, poi in Scandinavia, ma lì gli alberghi costano un botto, così ho piegato a Est, la Russia, l’Asia, o il Nord Africa, evitando anche alberghetti economici ma con scale, rampe, bagni stretti, e con tremila euro sto via anche sei mesi… fermandomi dove la barriera è il mare, caro da attraversare ed estraneo alla mia preferenza di muovermi via terra; i soldi li uso soprattutto per il carburante, parto con l’auto piena di provviste e del necessario».

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Donna in Nepal – foto di Damiano Tavoliere

AGENTI SEGRETI, SPIE, militari… Fabio Migli a dieci anni ebbe un angioma midollare alla schiena che lo condusse progressivamente alla perdita d’uso degli arti inferiori, ma proseguì gli studi e divenne tecnico elettronico, mentre in lui crescevano voglia di libertà e desiderio di alterità: «La peggior cosa che può succedermi è andare in una bettola e essere affiancato da una persona apparentemente comune e amichevole ma in verità un agente segreto, una spia di regime, o venire bloccato dai militari, sottostare alle loro vessazioni, spiegare invano che sono semplicemente un viaggiatore: come quando quattro poliziotti che sospettavano fossi un terrorista mi ammanettarono al volante della mia auto e pretendevano li seguissi alla caserma anche se guidare in quel modo era impossibile, un’evidente assurdità… Di norma, però, trovo negli altri una gradevole curiosità – come ce l’ho io per le vite altrui – accresciuta dal fatto che viaggio solo e mi muovo in carrozzella… Prendo 780 euro al mese di pensione (con qualche integrazione da prestazioni professionali, giusto per raggranellare quanto mi serve per ripartire), veramente pochi in Italia, ma in una certa misura sufficienti altrove, ovviamente scartando l’Occidente.

«Comunque – prosegue – la mia priorità è viaggiare, vivere per viaggiare, non vivere per lavorare. Ho fatto anche sport – pallacanestro, nuoto, tiro con l’arco – ma pure lì ho provato intolleranza ai vincoli: allenamenti, trasferte, calendario; dicevano che ero bravo, ma… Sono fatto così, voglio essere indipendente, evito anche gli sponsor per non sottostare ai loro desiderata».

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Mongolia – foto di Damiano Tavoliere

LA PAURA DELL’ALTRO. «Mi è sempre piaciuto esplorare l’ignoto, anche da piccolo prima della malattia, un desiderio che si è radicalizzato in seguito. Mia madre all’inizio era contraria che guidassi, poi invece ha inteso fino in fondo il mio spirito ed è stata lei stessa ad aiutarmi nella preparazione dei viaggi; la prima volta sono letteralmente scappato: avevo appena preso la patente e con papà e la Panda 4×4 che mi aveva regalato una mattina andammo in rosticceria: avevo già deciso che quel giorno mi sarei allontanato, mio padre scese, entrò in negozio, e al ritorno non mi trovò più. Andai in Abruzzo, un’emozione fortissima per la fuga dal nido, mi fermai a telefonare a casa, urla disperate della mamma mentre io ammiravo gli scenari del Gran Sasso, avvisarono la polizia, tornai la sera… Così ruppi il primo scoglio.

«La seconda volta – poche settimane dopo – preparai un piccolo fagotto di nascosto per stare via qualche giorno, accompagnai mio fratello in un posto e al suo ritorno rimase interdetto come papà, mentre io ero pieno di adrenalina sulla strada per Monaco di Baviera: la Germania mi affascinava e all’epoca (anni Ottanta) era già attrezzata con rampe per disabili e marciapiedi adatti, giravi senza incontrare ostacoli: scendevo dalla macchina, andavo in metropolitana, prendevo ascensori con la carrozzella… qui a Roma, ancora adesso, è tutto limitato, funziona poco, devi sempre chiedere a qualcuno di aiutarti a scendere o salire, entrare o uscire, diventi matto, tutti hanno fretta, spesso fan finta di non sentire, avverti sulla pelle il menefreghismo (oggi più di ieri la gente è chiusa, spaventata, temono tutto ciò che è altro da sé, quando racconto i miei viaggi la prima domanda è: ma non hai paura?).

«Il salto successivo fu la Svezia, poi l’immenso Oriente fino a Vladivostok, luoghi dove alle difficoltà supplisce la cordialità sincera, la generosità non pelosa di gente del posto che non ti fa sentire una specie di nullità, anzi, l’attenzione degli altri è un modo per allacciare rapporti, questa è la cosa principale: l’aspetto umano, sebbene anche altrove ora si diffondano timori e diffidenze».

L’AMORE PRIGIONIERO. Fabio ha percorso finora un milione e cinquecentomila chilometri, gira video, scrive resoconti, registra regressioni e progressioni di civiltà, aberrazioni e sublimità dell’essenza umana. È amico del rischio, percorre territori di guerra («certuni pensano che la mia disabilità sia frutto di un conflitto»), in alcuni casi i suoi azzardi provocano controlli prolungati ed espulsioni.
Ma di solito riceve fraterna solidarietà nei paesi poveri, «lì mi sento felice e fortunato», e una sola volta ha dovuto affrontare due pastori adolescenti nella campagna russa: gli avevano sottratto soldi e telecamera, ma bastò lui puntasse l’auto minacciando di investire gli animali affinché gli rendessero il maltolto.

Fabio si diverte a sfidare le burocrazie, il gusto dell’illegalità lo seduce se occorre, come quando gabbò le autorità cinesi falsificando documenti per aggirare divieti e rigidità formali.

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Coppia di amici kirghizi – foto di Damiano Tavoliere

MENTRE LA SUA NOSTALGIA d’assoluto respinge il sentimento stanziale: «L’ho avuto il grande amore, è durato un anno o due, una ragazza polacca già madre di un bambino che prese a chiamarmi papà, lei è venuta a Roma, io sono stato da lei… ma ho sentito che mi cacciavo in un impiccio prigioniero, sentivo sempre la voglia di andare, partire, il richiamo della foresta… infine fu lei stessa a dirmi: so dove hai la testa, non è bello incatenarti, vai pure tesoro mio».