Tanti applausi, interminali. Migliaia di mani che battono rapide in una standing ovation che Benyamin Netanyahu non oserebbe sognare neppure a casa. Ma se quelli di ieri all’Aipac, la lobby filo-Israele più influente d’America, erano applausi scontati, quelli che riceverà oggi al Congresso avranno un sapore particolare per il premier israeliano, giunto a Washington per esprimere non solo il proprio punto di vista ma con il preciso intento di umiliare Barack Obama e la sua Amministrazione, “colpevoli” di ricercare una soluzione diplomatica, un accordo con Tehran sul programma nucleare iraniano. Programma che Netanyahu considera una «minaccia esistenziale» per Israele, da fermare anche con la forza, anche a costo di una nuova guerra devastante nella regione, nonostante i giudizi di segno contrario espressi da diversi esperti militari israeliani, persino dal Mossad e dal suo ex capo, Meir Dagan, che non è un agnellino pacifista. Sullo sfondo ci sono le elezioni legislative israeliane del 17 marzo. I sondaggi danno il partito di maggioranza Likud in leggero svantaggio rispetto ai centristi di “Blocco Sionista” e Netanyahu spera di colmarlo grazie al “prestigio” che ritiene di conquistare dalla sua sfida ad Obama. In Israele premono i temi economici. Le case che mancano o costano troppo, i prezzi alti di tanti generi di prima necessità, fanno tremare la classe media e spingono quelli già poveri o al limite della povertà nella miseria più nera. In Viale Rothschild, nel centro di Tel Aviv, è rispuntato il campo di tende che nel 2011 diede il via alla protesta degli indignados locali. Il primo ministro ha bisogno di riportare, negli ultimi giorni di campagna elettorale, l’attenzione sulla “sicurezza nazionale” per offuscare il problema delle ampie disuguaglianze sociali.

 

Questa mattina per Netanyahu sarà il momento della rivincita, anzi della vendetta ottenuta nel cuore del potere americano, a breve distanza dalla Casa Bianca dove non sarà ricevuto dall’alleato-avversario profondamente offeso dalla sua decisione di accettare l’invito a parlare al Congresso della questione iraniana, aggirando totalmente l’Amministrazione Usa. Lo Speaker John Boehner, instancabile sostenitore di Israele, donerà a Netanyahu un busto di Winston Churchill. Convinto dal tono coinciliante usato qualche ora prima dal Segretario di stato John Kerry, che ha ricordato le numerose volte in cui gli Usa hanno difeso e protetto Israele nelle istituzioni mondiali – a danno dei diritti del palestinesi – Netanyahu ha usato il fioretto e non la sciabola. E poi le relazioni strategiche tra Washington e Tel Aviv sono granitiche, nonostante le divergenze con l’amministrazione Obama sul nucleare iraniano, ha sottolineato lo stesso Netanyahu. Gli Usa oggi non vogliono l’attacco militare all’Iran che il premier isrealiano reclama. Ma saranno pronti a prevederlo ed attuarlo se Tehran non si piegherà alle condizioni dettate al tavolo del negoziato per la revoca delle sanzioni.

 

La guerra. Questa minaccia ieri si aggirava come uno spettro nella grande sala dell’Aipac. «I leader americani si preoccupano della sicurezza del loro paese. I leader israeliani si preoccupano per la sopravvivenza del loro paese», ha detto Netanyahu, mostrando un cartello con i “tentacoli del terrore” di Tehran. «Questo è ciò che l’Iran sta facendo ora. Immaginate cosa avrebbe fatto con le armi nucleari. E questo stesso Iran giura di distruggere Israele. Se svilupperà armi atomiche avrà i mezzi per raggiungere questo obiettivo», ha avvertito, tralasciando il particolare certo non insignificante che Israele era e resta l’unico Stato della regione a possedere segretamente armi atomiche, non ha firmato il trattato di non proliferazione e i suoi siti nucleari non sono soggetti ad alcuna ispezione. A differenza dell’Iran che, firmando un accordo con il gruppo del 5+1, verrebbe sottoposto a controlli continui delle sue attività. «Se l’Iran svilupperà armi nucleari raggiungerà i suoi obiettivi – ha insistito Netanyahu – Non consentiamo che ciò accada…Israele si difenderà. I giorni in cui il popolo ebraico era passivo di fronte alla minaccia di annientamento sono finiti». Ancora la minaccia della guerra, che stava per concretizzarsi l’anno scorso secondo un giornale del Kuwait, al Jarida. Il governo israeliano aveva dato l’ordine alle sue forze aeree di attaccare le installazioni atomiche iraniane ma sarebbe stato fermato dall’alt di Barack Obama: non fate decollare gli aerei altrimenti li abbatteremo.

 

Ai margini della disputa velenosa tra Obama e Netanyahu, resta invisibile come non mai la questione palestinese, di un popolo sotto occupazione militare da decenni. Un ultimo caso. Un video postato ieri con orgoglio da un ex deputato israeliano dell’estrema destra, Michael Ben Ari, mostra un ragazzo palestinese nei pressi della colonia ebraica di Karney Tzur (Betlemme, in Cisgiordania) che viene morso da un cane dell’esercito mentre due soldati israeliani lo tengono fermo. Il ragazzo, di 15-16 anni, urla per il dolore e per la paura. «I soldati hanno impartito una lezione al piccolo terrorista. Diffondete questo filmato», ha scritto soddisfatto Ben Ari.