Dodici agosto 1945: viene sganciata la bomba su Nagasaki, la guerra in Europa si è appena conclusa e in Ungheria le elezioni sono alle porte. Nel piccolo villaggio ungherese nel quale è ambientato 1945 di Ferenc Török – premio del pubblico della sezione Panorama alla Berlinale 2017 – è anche il giorno del matrimonio fra il figlio del notaio e una giovane contadina.

Evento turbato da un arrivo, o forse un ritorno: «Sono tornati», dice trafelato un agente di polizia al notaio – due ebrei sono infatti giunti al paese con due casse, e nessuno sa perché, o cosa vogliano. Virato in bianco e nero, 1945 racconta proprio le reazioni all’arrivo di questi due personaggi, che a malapena pronunciano qualche parola ma la cui presenza – nell’arco della sola giornata in cui è ambientato il film – scatena sul paese complice dei nazisti un vero e proprio giorno del giudizio, portando alla luce il senso di colpa e la paura di dover rendere conto delle proprie azioni che consuma letteralmente gli abitanti del villaggio.

Torok rende così la piccola comunità una metafora della complicità all’olocausto, riproducendone le dinamiche principali, anche con eccessivo schematismo: chi vi ha partecipato per convincimento, chi per codardia, chi per convenienza, la colpevolezza della Chiesa e delle istituzioni. Tutti hanno infatti qualcosa di cui pentirsi amaramente, da chi ha avuto paura di nascondere il figlio della vicina a chi si è impadronito dei beni dei deportati. I due visitatori se ne andranno silenziosamente come sono arrivati, lasciandosi alle spalle un paese distrutto.