Mario Pirani in sanità è stato quello che si definirebbe un leader d’opinion. Bastava un suo editoriale a far discutere l’intero settore, nei convegni, nei congressi con un invidiabile (lo dico da opinionista del settore) impact factor. In quegli editoriali, a parte il grande giornalista che ha raccontato quasi un secolo di cambiamenti economici e politici del nostro paese, c’era intero il suo vissuto anche di malato, i suoi rapporti diretti con gli operatori, le sue esperienze personali di sanità e la sua straordinaria voglia di vivere.
Negli ultimi tempi non ci siamo visti così di frequente, ma lui voleva essere informato e in maniera inesausta mi chiedeva sempre carte, materiali, dati. La sua notorietà in sanità era arrivata a tal punto che in tanti lo invitavano a congressi e a convegni e lui, generoso, difficilmente diceva di no, anche se poi, proprio per motivi di salute, non poteva andare chiedendo a me all’ultimo minuto di sostituirlo. Ricordo un congresso di chirurghi, che tanto per cambiare si teneva a Capri, e la delusione di costoro quando mi presentai, imbarazzato non poco, al posto di Mario.
Le cose che in sanità Mario non riusciva a sopportare erano parecchie ma soprattutto era la politica stupida, maneggiona, approssimativa e la sua estrema invadenza. Grande convinto difensore della sanità pubblica fu lui a fare la prima vera battaglia contro la lottizzazione in sanità contro le nomine di partito dei primari e dei direttori generali. Mario era perché si facessero delle graduatorie trasparenti basate sui meriti e venisse scelto il più bravo cioè quello che risultava primo, ma tutta la politica che temeva gli articoli di Mario accettava in parte questo criterio riservandosi di scegliere il candidato di fiducia. Cioè di lottizzare almeno un po’.
Un’altra cosa che lo preoccupava era quello che ora a distanza di anni è scoppiato ed è sotto gli occhi di tutti cioè il conflitto tra professioni, la confusione dei ruoli e delle respondabilità, che in un suo celebre articolo sintetizzò con l’espressione «todos caballeros».
Quando in un convegno fu invitato a parlare di questi problemi, dopo aver ascoltato le ragioni delle professioni quasi timidamente fece la seguente domanda: «Ma chi pulisce il culo al vecchietto?». Non dimenticherò mai l’applauso scrosciante da parte di tutti che ne seguì.