Al Jazeera ha promosso l’iniziativa «il giornalismo non è un crimine» contro la detenzione di quattro reporter dell’ufficio egiziano dell’emittente del Qatar. La giornata internazionale di azione ha avuto lo scopo di chiedere il rilascio dei quattro giornalisti in carcere al Cairo: l’australiano Peter Greste, il direttore degli uffici cairoti Mohamed Fadel Fahmy, il producer Baher Mohamed e il reporter Abdallah Elshamy. I primi tre sono stati prelevati lo scorso 29 dicembre da un albergo del Cairo. Elshamy è stato arrestato lo scorso 14 agosto, alla vigilia dello sgombero di Rabaa al Adaweya. Secondo la sua famiglia è detenuto da allora senza accuse precise. Il cameraman dell’emittente Mohammed Badr è stato rilasciato dopo sette mesi di detenzione.

I giornalisti in prigione sono accusati di appartenere a un’organizzazione terroristica, attentato all’«unità nazionale», cospirazione con lo scopo di colpire la reputazione internazionale del Paese e di sostegno ai Fratelli musulmani. Insieme a loro sono sotto accusa per «diffusione di notizie false» anche i reporter britannici di al Jazeera, Dominic Kane e Sue Turton, e la giornalista olandese Rena Netjes che hanno lasciato il Paese.

Si sono svolte manifestazioni in tutto il mondo a sostegno del rilascio dei giornalisti da Londra a Beirut, dal Cairo a Berlino, alle porte delle ambasciate egiziane. Le proteste sono iniziate a Sydney dove decine di attivisti per i diritti umani e giornalisti hanno espresso preoccupazione per i limiti alle libertà di espressione in Egitto. Nella capitale dello Yemen, Sanaa, il premio Nobel per la Pace, Tawakkol Karman si è unito ai manifestanti in segno di appoggio alla protesta. Uno degli assembramenti più grandi si è svolto in piazza dei Martiri a Beirut dove decine di giornalisti hanno esposto gli striscioni con la scritta: «Journalism is not a crime». Manifestazioni di solidarietà si sono svolte anche a Manila, Islamabad, Amman, Nairobi, Ankara, Berlino e San Francisco. Secondo al Jazeera, che ha lanciato la campagna su Twitter, Facebook e Tumblr, tre milioni di persone hanno fin qui aderito all’iniziativa in tutto il mondo.

Dopo il colpo di stato del 3 luglio 2013, la censura dei militari ha colpito duramente Fratelli musulmani e parte dei movimenti salafiti. In particolare molti dei canali televisivi, fioriti dopo le rivolte del 2011, sono stati oscurati per il timore che avrebbero potuto incitare la folla a manifestare contro l’arresto dell’ex presidente e della leadership della Fratellanza. La notte della deposizione dell’ex presidente Mohammed Morsi sono state oscurate 14 reti televisive, in particolare le emittenti Misr 25, fondata dopo le rivolte del gennaio 2011; due emittenti salafite molto popolari: al-Nas (la gente) e al-Hafez (il guardiano); sono stati chiusi gli uffici cairoti della televisione satellitare al-Rahma, quelli della televisione giordana Yarmouk, del quotidiano Al-Quds al-Arabi. A finire nel mirino dei militari anche Al-Jazeera Mubasher, il canale in diretta del network qatarense. Nelle stesse ore le forze di sicurezza hanno fatto irruzione nella sede del Cairo di Al-Jazeera, arrestandone il personale. La notte del 3 luglio scorso, la rete del Qatar ha denunciato l’ingresso di militari in redazione, la detenzione di membri dello staff, mentre 22 tra giornalisti e tecnici si sono licenziati per protestare contro la decisione di impedire ad Al-Jazeera di proseguire la messa in onda dei programmi sul satellite di proprietà egiziana Nilesat.

I Fratelli musulmani hanno duramente denunciato l’uso eccessivo della forza in seguito alla chiusura di queste emittenti. I politici del movimento hanno ricordato che, nonostante vari casi di inchieste aperte contro giornalisti e comici critici verso la Fratellanza, tra i quali Bassem Youssef (Cbc) e il presentatore Gaber Al-Kharmouti (Ontv), nessun canale è stato chiuso nell’anno di presidenza Morsi. Dall’insediamento del governo e dopo l’approvazione della legge anti-proteste sono entrati nell’occhio del ciclone anche sostenitori dei movimenti laici. E sono stati arrestati blogger e attivisti politici, tra cui l’attivista socialista Alaa Abdel Fatteh e il fondatore di 6 Aprile Ahmad Maher.

È possibile contribuire all’iniziativa pubblicando foto su Twitter di solidarietà alla campagna con l’hashtag #FreeAJStaff.