«Allo stesso modo mi confortava prendere in mano questi altri oggetti e abbandonarmi ai ricordi dei momenti felici ad essi legati: lo specchietto trovato in uno degli armadi di mia madre… la mia pistola spaziale che lanciava in orbita un’elica… il tavolino dove Füsun era solita appoggiare con cura il suo orologio le prime volte che facevamo l’amore… il mozzicone di una sigaretta che aveva spento… i ricordi dell’affetto che mia madre mi dimostrava quand’ero bambino…», Orhan Pamuk, Il museo dell’innocenza. «Chiediamo alla gente di portare qui degli oggetti che suscitano un ricordo e diventano metafora di un pezzo di vita, di una storia. Non sono belli, sono oggetti ordinari che, chissà perché, tutti noi, senza neppure saperlo, abbiamo tenuto». Flavia Armenzoni, direttrice del Teatro delle Briciole. I sentimenti, le ispirazioni, i battiti del cuore non conoscono, anzi rifiutano, il marchio del copywright. Nascono in questo o quell’angolo di mondo, chiamati a vivere, a rivivere, da persone ed esperienze spesso tra loro completamente diverse. Solo così si può spiegare, se proprio se ne avverte la necessità, l’esistenza di due musei simili nell’anima, però distanti i duemila chilometri che separano Istanbul da Parma e viceversa. Nel romanzo forse più intenso ed emotivo del Nobel 2006 per la letteratura Pamuk, il protagonista raduna nel corso di oltre un trentennio, dentro le stanze di un antico palazzo di famiglia, cumuli di oggetti senza altro valore che non sia quello conferito loro da un amore non replicabile.

Lungo il suo cammino artistico, il Teatro delle Briciole ha raccolto l’idea del Théâtre de Cuisine di Marsiglia, con cui collabora da sempre, di iniziare l’allestimento, a partire dal 2015, di un Museo degli Oggetti Ordinari. Nella città francese il suo acronimo è MOOM, emme come Marsiglia; nella città emiliana è MOOP, pi come Parma, segno della volontà di aprire un MOO ovunque sia possibile. A Pamuk, voce fortemente critica nei confronti del governo turco, occorsero anni per superare ostacoli di ogni genere e fare del Museo dell’Innocenza un luogo fisico. Gli oggetti del museo delle Briciole hanno avuto esordio espositivo da giugno ai primi di agosto durante la seconda edizione di Insolito Festival. Costituiscono una realtà per ora effimera, sottolinea Flavia, in attesa di collocazione definitiva dopo aver trovato ospitalità temporanea negli spazi del bar di una casa di riposo per anziani dismessa. Se, nelle pagine di Pamuk, la collezione di Kemal prende forma dal tormento della solitudine, le cose ordinarie in mostra a Parma sono frutto di una partecipazione collettiva, della risposta all’appello di riportare alla luce frammenti personali dimenticati, magari conferendo loro la valenza aggiuntiva di una fantasia scaturita all’improvviso.

Armenzani cita Remo Bodei in La vita delle cose ‘Nelle cose si devono mettere idee, affetti, simboli di cui spesso non comprendiamo il senso. Più siamo in grado di recuperarlo e di integrarlo nel nostro orizzonte mentale ed emotivo, più il mondo si allarga e acquista profondità’. Primi sperimentatori del significato di radunare e mostrare al pubblico un repertorio scevro da spettacolarità, privo di immediata attrattiva, composto per la maggior parte da pezzi comuni, a volte brutti, sono stati gli stessi componenti del Teatro. Ricorda la direttrice «Nelle vesti di donatori iniziali di ‘opere’ abbiamo cominciato a guardarci attorno e a guardare dentro noi stessi in modo diverso. Da lì è scaturita la decisione di arricchire il gioco dei significati, coinvolgendo chi entrava in visita al museo e chi portava il proprio contributo. Ad ogni oggetto viene abbinata un’etichetta che comincia con le parole ‘Mia nonna’ o ‘Mio nonno’, puntini di sospensione, cui chi regala o presta un oggetto deve far seguire una frase. Nei due mesi di Insolito Festival ci siamo resi conto della potenzialità di narrazione che il radunare cose tanto diverse tra loro era in grado di sviluppare. Ad aggirarsi nella grande stanza della casa di riposo sono stati, accanto al pubblico dei nostri spettacoli, moltissimi altri componenti la comunità di Parma, attratti da qualcosa di insolito, capace di stimolare curiosità, creare coinvolgimento. L’oggetto ordinario si era trasformato in portatore di storie e soprattutto di emozioni».

I biglietti iniziano sempre con il ricordo di un nonno o di una nonna. Non sono dunque ammessi altri gradi di parentela? «Stiamo parlando di un gioco poetico, a modo suo artistico, e come tale può essere vero o immaginario. Magari uno scrive del nonno e invece la persona cui allude è suo padre. Ciò che conta è che siano parole sincere e leggere che, non di rado, sottendono ricordi importanti. In teatro, guardando al mio lavoro, si possono dire bugie per dire meglio la verità». Oggetti ordinari è la categoria citata fin qui. Ma nel dettaglio, di che oggetti si tratta? «Va premesso che l’aggettivo ordinario può avere un’accezione diversa a seconda del contesto in cui viene usato. Mentre con i colleghi di Marsiglia stavamo discutendo del progetto, abbiamo chiesto loro se una bicicletta rientrasse fra i materiali da esporre. Ci hanno risposto con un no deciso. A Parma, invece, l’uso quotidiano che da sempre se ne fa, rende la bicicletta quanto mai ordinaria. Detto questo, il visitatore incontra di tutto, comprese cose inimmaginabili da collocare altrove.

Cito a memoria: chiavi, bottoni, forbici, bastoni, un preservativo, una bambolina, un castello giocattolo, una scatoletta, uno scaldino da letto, un bicchiere… Va detto, poi, che moltissimi oggetti non avrebbero ragione di trovarsi lì senza essere completati dalla frase scritta sul momento e sull’etichetta. ‘Mia nonna cuciva meraviglie’ accompagna un pacchetto di bottoni blu. ‘Mio nonno era un solitario’ è il ricordo legato a un mazzo di carte da briscola. Tornando al nostro ruolo di pionieri del museo, alcuni di noi avevano portato qualcosa senza saper spiegare le ragioni della loro scelta. Quelle ragioni, i dettagli fino ad allora sfocati, sono venuti fuori dopo, insieme alla frase. E non è detto che non ci sia scappata anche una lacrima. Credo che la stessa cosa valga per chi arriva qui con un suo pezzo da regalare o da cedere in prestito. Radunare e mettere in mostra gli oggetti del quotidiano, dimenticati o lasciati in disparte, attiva reazioni emotive, meccanismi espressivi molto forti, di cui neppure noi, agli inizi, ci eravamo resi conto». Flavia, in precedenza parlavi di un museo per ora effimero, alla ricerca di una sede stabile.

Tornerà a spalancare i battenti dall’11 al 13 settembre in occasione di ‘S – chiusi’ «S – chiusi è una manifestazione che si svolge nel contesto di una via della città particolarmente ferita dalla crisi economica. In quei giorni riapriamo i negozi di prossimità per tornare con lo sguardo su un mondo fino a ieri attivo, dalla vita sociale intensa. Le scorse edizioni sono state un successo e hanno visto una grande partecipazione dei cittadini. Penso che collocare il museo nella via scelta quest’anno sia una decisione appropriata e coerente». E dopo? «Con l’assessorato alla cultura del comune e con la proprietà dell’ex casa di riposo abbiamo già avuto una serie di incontri positivi. È chiaro che il Teatro delle Briciole non può sostenere le spese di una sede permanente e del personale necessario a farla funzionare. Un’altra ipotesi è di creare un museo itinerante, che viaggi di quartiere in quartiere e vi rimanga per un certo periodo di tempo. trovare una soluzione è fondamentale, perché la collezione si amplia ad ogni occasione ed è quindi destinata a crescere in modo imprevedibile». Il numero di telefono cui chiedere ragguagli sulle visite e per eventuali donazioni è lo 0521/992004. A proposito di telefono, Flavia: quello fisso, e non stiamo parlando di esemplari d’epoca appesi al muro, di apparecchi grigi dotati di dischetto a molla bucherellato, è da considerarsi ancora un oggetto ordinario, oppure merita ormai di venir incluso nella categoria dei cimeli? Ne avremmo giusto uno da regalarvi. Giace ignorato, creatura aliena in un mondo di suonerie e segnali. Senza dubbio ordinari.