Visioni

Il gioco leggero dell’amore e la grande scena del mondo

Il gioco leggero dell’amore e la grande scena del mondo

Teatro «Play Shakespeare», un intreccio vitale tra le opere del drammaturgo. In scena gli allievi dell’Accademia Silvio D’Amico che guidati da Lorenzo Salveti restituiscono l’essenza delle storie

Pubblicato quasi 8 anni faEdizione del 10 dicembre 2016

A 400 anni dalla morte di William Shakespeare, sono piovute moltissime celebrazioni, qualcuna più pretestuosa, altre destinate a diffondere in qualche misura l’importanza della sua scrittura sulla cultura contemporanea, non solo teatrale. Tra le manifestazioni più stimolanti e significative si pone di sicuro Play Shakespeare, una «esercitazione» degli allievi diplomati del terzo anno dell’Accademia nazionale d’arte drammatica Silvio D’Amico guidati dalla mano sicura del loro maestro Lorenzo Salveti.

 
Sono attori che già si sono fatti notare nei loro saggi di diploma, ma che qui riescono a dare il meglio di sé, in questa sorta di rete giocosa che lega e intreccia le opere shakespeariane, riuscendo a trarre aspetti leggeri dalle storie anche più tragiche, come capita per altro spesso anche nella vita.
Le regole sono state quelle della povertà di mezzi riguardo a scenografia e costumi, e l’intento quello di mischiare il più possibile le carte, ovvero intrecci e personaggi delle commedie, grazie al fatto che ognuno degli undici attori (sette donne e quattro maschi) interpreti più personaggi, superando anche i generi e l’età.

 
Così, su uno spazio scenico bianco e vuoto che si allunga in mezzo agli spettatori, poche sedie e pochi cubi di legno danno luogo a storie diversissime guidate dal gioco dell’amore, ma assai meno dal caso. Contano, negli intrecci shakespeariani i sentimenti e i valori, ma ancor più intelligenza, arguzia e soprattutto memoria e ragione.
Play Shakespeare (stasera alle 20, domani e lunedì alle 17 e alle 20, prenotazioni al 366 6815543) disegna così una mappa di furbizie e dabbenaggini, di rapporti e di opposizioni, di sentimenti profondi oppure d’artificio, di ambizioni e di sconfitte, di desideri e frustrazioni, insomma di tutta l’umanità profonda e variegata che è il tessuto primo della grande scrittura shakespeariana, il gran teatro del mondo che attorno alla scena tonda del londinese Globe Theatre richiamava le folle. Perché dando velocità di ritmo e libertà di movimento ai personaggi, anche qui oggi verrebbe da schierarsi e partecipare al play della rappresentazione.

 
Salveti che a proposito di elisabettiani è stato allievo di Agostino Lombardo e di Aldo Trionfo, entrambi cultori di quel periodo teatrale, usa delle belle traduzioni da lui rinfrescate. E scatena la propria maturità di regista su quei giovani che iniziano la carriera. E che con la loro preparazione sembrano pronti a chiamate che sicuramente verranno, se è vero che il giovane cinema italiano (e perfino la televisione) mostrano di essere sempre più bisognosi di attori preparati, come dimostra il fatto che a queste rappresentazioni assistono diversi responsabili di casting.

 
Ma anche per i non addetti ai lavori, è un sicuro piacere assistere a tanta vitalità che finalmente rinsangua gli indovinelli di Porzia nel giardino del Mercante di Venezia, incastrati nelle frenesie del desiderio in un altro giardino, stavolta veronese, di Romeo e Giulietta, e ancora gli equivoci silvestri di due coppie assai «distratte» che Oberon e il suo folletto accoppiano e scoppiano per puro gioco di suggestioni. E così per diversi altri titoli shakespeariani, per farci «risvegliare» anche noi spettatori, dopo 75 minuti densissimi, con la consapevolezza «rinfrescata» della complessità dei rapporti

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