Com’è svagata questa scuola mozartiana, con i cuoricini sulla lavagna, più ricreazione che lezioni, palloncini e amorazzi fra studenti. Il Così fan tutte in scena all’Opera di Roma con la regia di Graham Vick – scene e costumi di Samal Blak – gioca sul sottotitolo, «la scuola degli amanti», e sul segreto potere didattico dei valori illuministici celati nei versi di Da Ponte musicati da Mozart.
Il gioco in parte funziona, anche perché il cast – nel caso di sabato 21 la seconda distribuzione – è ottimo, composto di cantanti giovani e perfettamente credibili negli entusiasmi, nella disperazione, l’eccitazione e la disillusione e i molti mutamenti d’umore che le «esperienze» di Don Alfonso producono a vario titolo nelle due coppie di amanti. E infatti nel finale, a differenza di altre letture di questa opera eternamente ambigua e meravigliosa, leggera quanto maledettamente seria, i ragazzi se la ridono beati, pronti a ricominciare con un’energia che in donne e uomini più maturi si vela inevitabilmente di malinconia.

 
Il pubblico si diverte, nonostante che la scabra scena fissa, un angolo bianco senza finestre, e i costumi allegri ma ridotti al minimo, con oggetti di scena un po’ casuali ( l’altalena al liceo?), lascino tutto il peso del gioco scenico sulle spalle dei cantanti-attori. E i protagonisti ci danno dentro: ottimi Paolo Bordogna, Don Alfonso elegante, che posa a professore-amico da telefilm, Mattia Olivieri e Antonio Poli, Guglielmo e Ferrando baldanzosi e fresconi quel tanto che basta, vocalmente centratissimi. Stesso equilibrio dal lato femminile, con Federica Lombardi, Fiordiligi fresca ma di bello spolvero vocale e dal fisico prorompente, Paola Gardina, Dorabella brillante e Daniela Pini, bidella tuttofare, inappuntabile nel canto come nel gioco scenico, privi dei vezzi caricaturali che spesso guastano la parte di Despina.

 

 

Forse se in questa scuola ogni tanto la lezione sembra un po’ imparata a memoria invece che sentita nel profondo il motivo è un leggero sfasamento fra regia e lettura orchestrale. Posto che forse lo spettacolo di Vick avrebbe funzionato meglio in una sala più raccolta del Costanzi, Speranza Scappucci tratteggia dal podio un Così fan tutte più lirico e malinconico che piccante, molto ben risolto nei passaggi patetico-elegiaci o di stile serio ( Ouverture, «Soave sia il vento», le arie di Fiordiligi e di Ferrando) ma lievemente più opaco nei momenti briosi. La concertazione è attenta e la cura dei recitativi innegabile, ma talvolta vi si insinua un sospetto di maniera, con un eccesso di pause e ceselli.

 
Insomma a Graham Vick l’arioso settecento napoletano del libretto non sembra servire più a molto, ma alla bacchetta di Speranza Scappucci avrebbe forse giovato. In ogni caso successo per tutti, in primis per la direttrice debuttante nella sua città, senza il ripetersi delle contestazioni che hanno accolto il regista alla prima. E il vero premio per la produzione sono gli occhi di quella bambina che in platea divora lo spettacolo, composta e concentratissima, dall’inizio fino all’ultima nota.