Apre la stagione del Teatro Stabile dell’Umbria il nuovo spettacolo di Andrea Baracco, tratto da Le affinità elettive (al teatro Cucinelli di Solomeo). Il titolo del romanzo di Goethe è di quelli che sono divenuti locuzione comune nel parlare moderno, in tutte le lingue. Il libro, oltre alla sua importanza letteraria e morale nella cultura tedesca, dall’inizio dell’ottocento quando fu pubblicato fino ai giorni nostri, parte dalla scienza e dalle sue moderne classificazioni e scoperte (nel senso dell’influsso reciproco degli elementi nelle loro diverse combinazioni possibili) ma guarda e scopre, con perizia perfino crudele, i comportamenti delle persone, e dei loro rapporti d’amore e di coppia, come probabilmente nessuno studio è mai riuscito ad approfondire. Tanto che quel testo è stato amato e studiato non solo da un pubblico sterminato di lettori, e di critici letterari ovviamente, ma anche da maestri del pensiero contemporaneo, da Gadamer a Benjamin. I fratelli Taviani ne trassero un film poco più di vent’anni fa, spostando l’azione nella Toscana napoleonica, protagonista una giovane Isabelle Huppert.

Qui sono quattro attori di nuova generazione a incrociare il gioco degli scambi, o di patto di convivenza, che prende impennate violente, d’amore e di passione(o quasi di naturale «necessità») fino ad esplodere in un epilogo doppiamente tragico. Senza calcolare l’infelicità che nel finale dilaga, dopo aver serpeggiato per tutto il racconto, dalla scelta di convivenza dei due adulti amanti, turbata quasi «naturalmente» e ineluttabilmente dall’arrivo della giovane nipote di lei e del fraterno amico di lui. Eppure anche il pubblico di oggi, abituato quasi a modaioli incroci scambisti, si può appassionare e soffrire per quella vicenda che precipita verso la morte dei sentimenti, e perfino delle persone.

IL ROMANZO sulla scena è stato adattato e riscritto, con molta intelligenza e precisione, da Maria Teresa Berardelli, che ha saputo far diventare veloce racconto alcuni momenti, lasciandoci il giusto sviluppo ad altri, più caldi e coinvolgenti, magari dolorosi. E con molta precisione, usando gli artifici del teatro, la regia di Baracco dipana (e contiene in due ore di spettacolo) quel complesso e drammatico processo tra i quattro personaggi. É funzionale la scenografia di Marta Crisolini Malatesta, col suo aspetto neoclassico del grande portale rotante sul fondo, mentre ognuno dei personaggi ha uno spazio dietro una sorta di paravento che ne che ne fa una piccola «camera tutta per sé» dotata di letto e altre private necessità (peccato che nel muoversi e fissarsi, abbiano necessità di scatti dal vago quanto incongruo sapore Ikea).

IL PESO maggiore naturalmente ricade sugli interpreti, con il netto predominio (per intensità e moderna sobrietà) della coppia «fedifraga», se così si può dire. Gabriele Portoghese e Silvia D’Amico sono davvero coinvolgenti con la loro passione «colpevole», eppure dotati di una misura e di una profondità davvero coinvolgenti, anche se destinato lui a impazzire di quell’amore e lei a morire dell’anoressia cui si vota (probabilmente la prima eroina letteraria a scegliere quella strada per uscire di scena). Denis Fasolo presta una recitazione che conferisce al vecchio amico una rigidità forse figlia dell’imbarazzo; Elena Arvigo resta vittima, prima ancora che del tradimento, di una certa concitazione recitativa, che nello spazio nudo, spogliato di quinte, rende poco comprensibili le sue tirate di gelosia. Ma certo il meccanismo goethiano, così vicino a quello di ogni persona disposta ad amare, resta intatto, e si specchia dalle pagine di un romanzo portato in scena, col mistero luciferino eppure così umano, dei suoi testi teatrali, a partire naturalmente da Faust.