Come previsto la nomina dei sottosegretari slitta di una settimana. Se ne riparla il 28 dicembre. Sarà un test eloquente per diversi motivi, tra i quali stavolta non figura il riflesso degli equilibri di potere interni alla maggioranza. La maggior parte dei sottosegretari sarà confermata, da quel punto di vista il listone dirà quindi ben poco. In compenso le scelte di Paolo Gentiloni e di Matteo Renzi indicheranno quali possibili alleanze ha in mente il Pd una volta tramontato il miraggio del partito a vocazione maggioritaria. Inoltre sarà un primo test per vagliare quanto il premier intenda assecondare sempre le decisioni del suo predecessore e quanto invece voglia smarcarsi e conquistare da subito autonomia.

Sul primo fronte la grana più grossa è rappresentata dai verdiniani di Ala. Molti, dopo la fiducia negata da Denis al nuovo governo, avevano sospettato una finta rottura studiata per indebolire il governo e avvicinare le elezioni. Non è così. Chi ha parlato col ruggente fiorentino nelle ultime settimane lo ha trovato irritato e deluso dal pupillo. La richiesta pesante di quattro o cinque sottosegretariati ha quindi il sapore di una «riparazione». Che probabilmente non arriverà. Gentiloni è più che contrario. Non risulta che dal Nazareno arrivino pressioni in questa direzione. L’atteggiamento che dire conciliante è poco dell’ex Cavaliere sottrae peso contrattuale all’alato: se a salvare il governo non sarà lui ci penseranno gli azzurri uscendo dall’aula.

Alla fine è probabile che Verdini incasserà solo la conferma del viceministro Zanetti, che per altro è alato solo a metà, proveniendo da Scelta civica. Inoltre è già in squadra e dunque nel complesso è il più presentabile. In compenso non è escluso che ci scappi un sottosegretariato che arriva da sinistra. La settimana scorsa al Senato due ex Sel che non hanno aderito a Sinistra italiana, il presidente della giunta per le autorizzazioni Dario Stefàno e Luciano Uras, hanno votato la fiducia. L’ingresso di uno dei due al governo sarebbe una passo vistoso verso l’alleanza con il «Campo progressista» che Pisapia sta cercando di costruire.

Quanto all’autonomia del premier da Renzi, al momento tutto lascia intendere che Gentiloni stia provando a smarcarsi. Secondo alcune voci avrebbe respinto Maria Elena Boschi, presentatasi nel suo studio impugnando una lista vergata dal ragazzo di Rignano con in mente un delicato equilibrio tra i componenti della nuova segreteria Pd e i sottosegretari. Il retroscena è di quelli che nessuno confermerebbe. In compenso tra gli esponenti del Pd, non importa di quale banda, quasi tutti lo definiscono «credibile». E dagli spalti franceschiniani si aggiungono complimenti ed esortazioni rivolte al Gentiloni perché marchi sempre più una piena autonomia.

In realtà è presto per parlare di un Paolo Gentiloni affrancato dalla tutela di Renzi, ma la trattativa sui sottosegretari è un piccolo passo in quella direzione. Certo senza esagerare. Le guardie renziane dell’esecutivo, la Boschi e il ministro dello Sport Luca Lotti, si vedranno confermare poteri esorbitanti, e a Lotti saranno riassegnate le deleghe di cui disponeva come sottosegretario di Renzi, inclusa quella fondamentale sul Cipe, il cruciale Comitato interministeriale per la programmazione economica. Ma la posizione dell’alter ego di Renzi è minacciata dall’avviso di garanzia per rivelazione di segreto d’ufficio nel quadro dell’inchiesta sugli appalti Consip. Lotti ha reagito con gran vigore negando ogni addebito e chiedendo, qualora la notizia fosse fondata, di essere ascoltato subito. Ma se il caso non si dovesse risolvere di corsa il potere di Lotti, e di conseguenza quello di Renzi, nel governo ne uscirebbe seriamente scosso.