Fragile Greta Thunberg, di fronte al panzer Trump, è l’immagine mediatica che ha segnato il primo giorno di discussioni al World Economic Forum di Davos. Dietro Greta Thunberg e Donald Trump, è andato in scena lo scontro tra due mondi, entrambi rappresentati nella stazione sciistica svizzera: il mondo degli affari, ben sostenuto neanche troppo dietro le quinte da quello politico da un lato (una trentina di capi di stato o di governo, 119 miliardari), e dall’altro l’universo multicolore delle ong impegnate per l’ambiente, che ieri hanno ripetuto dati e cifre che circolano da tempo, ma che nessuno ascolta.

GRETA THUNBERG ha reso omaggio al movimento dei giovani, che «ovunque hanno creato alleanze» e ora «le persone sono più consapevoli, grazie alla spinta dei giovani sembra che clima e ambiente siano ora un argomento caldo». Ma la giovane svedese constata che «al tempo stesso, non è stato realizzato nulla, le emissioni globali continuano a crescere».

È quello che confermano i dati di varie ong, ripetuti a Davos. Greenpeace segnala che dieci banche presenti a Davos – JPMorgan, Citi, Bank of America, Barclays ecc. – nel periodo 2015-2018 hanno finanziato per mille miliardi di dollari (cioè la stessa cifra che la Commissione Ue spera di dirottare in dieci anni per il Green Deal) le energie fossili, che del resto dominano ancora al 90%. Stesso comportamento dei fondi pensione, secondo Greenpeace, che spiega come investitori importanti come il fondo degli insegnanti dell’Ontario, Canada Pension o PensionDenmark abbiamo in portafoglio 26 miliardi di azioni di Shell, Exxon o Chevron. «Le banche, le assicurazioni e i fondi pensione presenti al Wef di Davos sono colpevoli per l’emergenza climatica», afferma Jennifer Morgan alla testa di Greenpeace.

Greta Thunberg ha ricordato le cifre del rapporto del 2018 del Giec (Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico): la probabilità è al 67% di mantenere il riscaldamento climatico entro 1,5°, come richiesto dalla Cop21, ma stando alle emissioni di oggi il budget rimanente verrà esaurito in meno di 8 anni. Il Wwf ha una versione più ottimista, vede «un’enorme propensione alla presa di coscienza dei grandi padroni», ma «la sfida è tradurla su scala inferiore, all’interno di gruppi giganteschi».

Un ottimismo per il momento smentito da un’inchiesta Pwc: 1.600 manager di 83 paesi interrogati non pongono il rischio climatico tra i 10 principali rischi per l’economia quest’anno. «La mia speranza è che dopo le discussioni di Davos questo rischio salga nella scala delle preoccupazioni», sostiene il presidente dell’istituto Pwc, Bob Moritz. C’è qualche segnale, come la previsione di Larry Fink di BlanckRock di investire mille miliardi (sui quasi 7mila che la società gestisce) in progetti compatibili con lo sviluppo durevole (ma questo perché viene preso in considerazione un possibile “rischio” climatico sul valore delle azioni). Oppure l’invito dell’Fmi a «investire in misure per frenare il cambiamento climatico».

NELLA SUA 50ESIMA edizione, il Word Economic Forum ha realizzato una svolta, rispetto a un primo periodo tutto rivolto a spingere per la crescita economica, senza tener conto dei vincoli sociali e ambientali: oggi, il Wef collabora con la Banca Mondiale, con la Croce rossa, per venire in aiuto di economie fragili, nel Social Mobility Report sostiene che la mobilità sociale favorisce l’economia (un aumento di 10 punti nell’ascensore sociale porterebbe a +4,4% entro il 2030).

Oggi, sarà la volta della presidente Ursula von der Leyen che spiegherà il progetto di Green New Deal della Commissione europea anche in relazione alla compatibilità con l’emancipazione sociale (nella Ue ci sono contraddizioni: oggi la commissione industria dell’Europarlamento vota sui progetti energetici suscettibili di ricevere fondi europei, e tra questi ci sono 32 programmi di infrastrutture per il gas, giudicati inutili e dannosi, «per ogni euro dato alla transizione giusta ce ne sono 4 per il gas» denuncia Pascal Canfin, presidente della commissione ambiente, che chiede alla Commissione di rivedere il suo piano).

MA IERI C’È STATO lo show di Donald Trump, una caricatura delle certezze del passato, che a dieci mesi dalle elezioni si scaglia contro «i profeti di sventure» e «le predizioni di apocalisse», incarnati da Greta Thunberg, perché «la paura e il dubbio non sono buoni modi di pensare». Trump non ha dubbi: «Siamo il numero uno dell’universo, e di molto», ha detto, «negli Usa c’è un boom mai visto prima, siamo il numero uno per il gas e il petrolio», «il sistema Usa è un modello per il resto del mondo», mentre con l’amministrazione Obama erano state chiuse 60mila fabbriche, adesso ne sono state aperte 12mila. Del resto, Trump ha affermato di essere a Davos (nelle ore in cui viene discusso l’impeachment), «per incontrare i leader del mondo e degli affari, per portare a casa centinaia di miliardi di dollari negli Usa», anche grazie agli accordi commerciali (con Cina, Canada, Messico) che il presidente protezionista ieri ha messo in valore.