Daunia, terra daunia, la chiamano, dove si sono incontrate, scontrate e sovrapposte, varie civiltà: preistorica, greca, romana, longobarda, saracena, bizantina, normanna. La provincia di Foggia è archeologicamente importante, ma trascurata e poco valorizzata nel suo patrimonio artistico. È anche la terra di Giuseppe Di Vittorio, padre del sindacato, nel Tavoliere dei caporali, lasciata sempre più all’incuria e all’abbandono. Le strade statali, ai fianchi, sono piene di immondizia, trasformandosi in discariche a cielo aperto. Ogni tanto in lontananza si vedono i fumi di copertoni date alle fiamme. Al calar del sole, dopo il tramonto, in quelle stesse strade si accendono i fuochi delle schiave del sesso. E di qualche settimana fa sono gli spari a San Severo contro i blindati della polizia intervenuta per lo sgombero del «gran ghetto». Qualcuno dice che da qui, dalla Puglia, stia partendo una guerra allo Stato.

Quella che scriviamo è una storia di inquinamento, affari e di non giustizia, per troppo tempo ignorata, inosservata. A Troia, cittadina distante appena venti chilometri da Foggia, tutti conoscono la storia della discarica di Giardinetto, un’ex azienda di laterizi trasformata a fine anni ’90 in contenitore illegale di 250 mila tonnellate di rifiuti speciali, pericolosi e tossici, scarti di lavorazioni industriali. «In quel posto chissà quanta roba hanno seppellito» dicono in città. «Qui si muore di tumore, tanti sono giovani» ci ripete una donna appena uscita dalla piccola chiesa. Mi accompagna Giovanni Rinaldi, che è un ricercatore storico, ma anche fotografo freelance, che ha rilanciato la questione, dedicando tempo e risorse. Ne ha fatto un reportage fotografico, pubblicato sul suo blog, «WeAreInPuglia?» s’intitola, parafrasando provocatoriamente il claim della campagna turistica della Regione Puglia.

Andiamo nel sito dell’ex azienda, che si vede già dalla provinciale che percorre il piano, un po’ disperso tra terreni agricoli e pale eoliche. Giovanni per più di trent’anni ha fotografato la bellezza della sua terra, le feste popolari, il paesaggio urbano e naturale, ma anche il paesaggio umano, uomini e donne al lavoro, nella vita quotidiana, fino ai detenuti e ai più emarginati. Un giorno si è trovato di fronte uno spettacolo di cui ignorava l’esistenza. E da lì a ha iniziato a fotografare, a documentarsi e documentare. «È stata definita una Gomorra pugliese, sai. In Commissione d’inchiesta sul ciclo illecito dei rifiuti. Sono parole del pubblico ministero di allora, Pasquale De Luca» dice Giovanni mentre, ormai, siamo sul posto. Il cancello è distrutto e chiunque può entrare liberamente. Indossiamo tute e maschere protettive. Sono tre i giganteschi capannoni contaminati e qui tutto è in rovina: gli uffici, i macchinari arrugginiti, i documenti semi bruciati, e gli enormi sacchi («big bag», pericolosi contenitori flessibili), gonfi di ceneri, fanghi, polveri, che iniziano a sgretolarsi e dai quali fuoriescono le diverse varietà di scarti industriali accumulati. Questi rifiuti sono arrivati, fino al 1999, presumibilmente dal nord Italia, dalla Germania, addirittura dalla Korea. Così raccontano i big bag che li contengono. Nei due processi finiti con la prescrizione nelle perizie è stata accertata la presenza di metalli pesanti, piombo, cromo esavalente, berillio, cadmio, alluminio. particolato di fumi incombusti, amianto.

Dieci anni dopo la prima sentenza tutte le migliaia di tonnellate di questi scarti, rifiuti, pericolosi e tossici sono ancora lì. Estinti per prescrizione, invece, le imputazioni di reato a carico di Giuseppe De Munari, vicentino ed ex amministratore della società I.A.O. srl, che faceva parte del pugliese Gruppo Fantini (laterifici in Italia ed Europa). Quel che è peggio è che la realtà supera ogni fantasia, proprio come nel libro Gomorra. Già, perché l’azienda di laterizi era stata trasformata in Industria Ambientale Organizzata, (l’acronimo I.A.O.), ma invece di smaltirli i rifiuti venivano interrati e tombati costruendo interi piazzali al di sopra. A ridosso del sito ci sono montagne artificiali di scarti di laterizi mischiati a rifiuti di ogni genere. «Arrivavano ogni giorno camion e camion carichi di materiali e qui scaricavano tutto. Sapete quanti rifiuti sono stati interrati qui? Tanti, ma tanti, ma tanti…» racconta un ex lavoratore di cui manteniamo anonima l’identità.

Chi abita vicino al sito accusa prurito e rossore sul corpo, molti di loro pensano che sia dovuto proprio alla presenza di tonnellate e tonnellate di ceneri che con il vento si disperdono ovunque. Le acque e i terreni pare non abbiano subito contaminazioni al momento. «Le analisi le facciamo ogni mese e fino ad ora non c’è contaminazione» racconta un contadino che abita a circa un centinaio di metri dalla discarica. Anche se lì insiste un torrente di acqua che «va a sfociare direttamente nel Cervaro» afferma Carmela Lombardi, presidente del comitato Salute e Territorio di Troia. È difficile non pensare al peggio, soprattutto quando la bonifica non si è fatta per dieci anni.

In città l’aria di omertà che si respira va di pari passo con le denunce e la rabbia delle persone del comitato che da diversi anni lottano (il comitato Salute e Territorio era parte civile nell’ultimo processo chiuso con la prescrizione), ma che ora sembrano aver perso la speranza di una soluzione positiva. Oggi sono circa una decina, solo i più combattivi sono rimasti. In qualche modo devono questa loro scelta «a chi non è più tra di noi», ripetono. Hanno perso la speranza per l’inerzia delle istituzioni e per la giustizia lunga e non attuata. Chiedono che venga realizzata la bonifica e la messa in sicurezza del sito, cominciando col togliere le lastre di eternit che coprono uno dei capannoni che giornalmente cadono sui piazzali e si disintegrano in mille pezzi, disperdendo fibre di amianto, spinte dal vento sempre presente. Non a caso insiste proprio lì vicino uno dei più grandi parchi eolici del foggiano. Ma ora tutti i costi della bonifica ricadono sul piccolo comune di Troia. «Impossibile, neanche a parlarne. Non abbiamo i tanti soldi che un piano di bonifica richiede», così chiude il sindaco Leonardo Cavalieri, che a fine intervista sbotta, mostrando l’ennesima sollecitazione inviatagli dalla Regione. «È assurdo, anzi è una follia pura. Pare proprio che i funzionari regionali non abbiano assolutamente idea di quello che c’è nel sito di Giardinetto».

Qualche giorno dopo la nostra visita a Giardinetto, qualcuno si è premurato di chiudere, anzi sigillare, con delle enormi putrelle di cemento, l’ingresso. Non è un’opera di messa in sicurezza o di bonifica, quel muro forse ostacolerà chi come noi vorrebbe documentare questo disastro ambientale, ma quanto meno impedirà l’entrata ai ragazzi che, proprio su quelle ceneri, pare andassero a fare motocross.