La camera alta del parlamento giapponese ha approvato nella prima mattina di sabato una serie di provvedimenti che modificano radicalmente l’assetto militare del paese-arcipelago dopo due giorni di dibattiti e proteste dentro e fuori dal parlamento.
I provvedimenti sono stati approvati sabato intorno alle 2:30 del mattino, dopo due giorni di dibattiti nei due rami del parlamento, dove le opposizioni – guidate dal partito democratico – hanno provato ad ostacolare l’iter legislativo con mozioni di sfiducia nei confronti del presidente della Camera alta, poi contro il ministro della Difesa Gen Nakatani, del primo ministro Abe, del governo. Uno sforzo che ha solo allungato i tempi della trasformazione delle bozze in legge, dato che il partito liberaldemocratico guidato da Abe può godere di una maggioranza ampia in entrambe le camere.

Nello specifico, sono due i provvedimenti trasformati in legge. Il primo è un pacchetto di dieci emendamenti che agevola, tra l’altro, l’invio di militari giapponesi all’estero in soccorso a cittadini giapponesi in situazioni di pericolo, a protezione e sostegno logistico (ad esempio trasporto di munizioni, raccolta di informazioni) di forze militari alleate sotto attacco. Il secondo è una nuova legge che sveltisce l’invio dei militari giapponesi in missioni multinazionali sotto l’egida delle Nazioni Unite.

Le opposizioni hanno accusato più volte la maggioranza e il governo di aver forzato le procedure di voto e l’approvazione finale. Nella giornata di giovedì, i provvedimenti – già approvati a metà luglio in Camera bassa – erano stati approvati in una commissione parlamentare ristretta, ma non erano stati inseriti nella trascrizione ufficiale del dibattimento, data la bagarre scoppiata intorno al banco del presidente della commissione Yoshitada Konoike poi scortato dagli agenti di sicurezza fuori dall’aula del dibattito. Uscito dall’aula, Konoike aveva dichiarato l’approvazione delle misure e confermato l’ok per la presentazione d’urgenza in camera alta.

Con il voto di sabato, si conclude quel percorso di “normalizzazione” del comparto difesa avviata dall’amministrazione conservatrice a partire dalla fine del 2013 con una serie di provvedimenti: prima la creazione di un Consiglio di sicurezza nazionale e la promulgazione di una legge sui segreti di stato, riguardante in particolare difesa e diplomazia; poi a inizio 2014 la fine del divieto di esportazioni di armi e tecnologia militare; infine a metà 2014, una «decisione di gabinetto» che fornisce una nuova interpretazione dell’articolo 9 della costituzione – che sancisce la rinuncia eterna di Tokyo alla guerra e al mantenimento di un esercito «di attacco» – per permettere l’autodifesa collettiva. Shinzo Abe è riuscito a strappare un successo politico che rafforza l’asse Tokyo-Washington in Asia Pacifico e nel mondo. Per l’approvazione delle leggi entro l’estate – il termine ultimo promesso da Abe al Congresso Usa, durante la sua visita ufficiale ad aprile di quest’anno – la sessione parlamentare è stata estesa di tre mesi da fine giugno a fine settembre. Secondo Stars and Stripes, giornale delle forze militari americane, il budget della difesa Usa per il 2016 conterebbe già sui «cambiamenti nella politica difensiva giapponese».

Ora Abe è atteso dal rilancio del programma di riforme economiche su cui aveva fondato la propria campagna elettorale nel 2012, ma l’opinione pubblica è sempre più delusa dal percorso intrapreso dal governo. Secondo un sondaggio del quotidiano Asahi Shimbun, condotto prima del voto sui provvedimenti, oltre il 65% del campione reputava il passaggio parlamentare delle leggi di sicurezza nazionale nell’attuale sessione parlamentare «non necessario».

La riforma della sicurezza nazionale ha inoltre richiamato decine di migliaia di persone in molte piazze giapponesi per dire no alle «leggi di guerra». A Tokyo, in particolare, le proteste sono continuate ininterrottamente da mercoledì, giorno in cui almeno 12mila persone – gruppi studenteschi, comitati pacifisti, associazioni di madri, professori universitari e associazioni di avvocati – sono scese in piazza per chiedere le dimissioni del governo Abe. «Anche se la nuova legge dovesse passare – hanno detto nei giorni scorsi alcuni esponenti del movimento studentesco di Azione per una democrazia liberale (Sealds) – noi continueremo a far sentire la nostra voce». Voce che è arrivata – forse un po’ in ritardo – anche in parlamento. Poco prima di consegnare il proprio voto agli addetti della Camera alta, il parlamentare d’opposizione Taro Yamamoto ha gridato, rivolto ai parlamentari della maggioranza: «Riuscite a sentire le voci che arrivano da fuori? Se no, fareste bene a cambiare mestiere».