«Il fallimento della Francia in Ruanda (…) può essere paragonato a un’ultima sconfitta coloniale tanto più grave perché Parigi ha avuto una responsabilità politica, istituzionale e morale nel genocidio perpetrato nel 1994». Al termine di due anni di ricerche, i membri della Commissione Duclert hanno pubblicato il loro voluminoso rapporto sul ruolo della Francia in Ruanda tra il 1990 e il 1994, poco dopo averlo illustrato ufficialmente al presidente Emmanuel Macron.

I NOVE MEMBRI – prevalentemente storici e ricercatori – della «commissione di ricerca sugli archivi francesi relativi al Ruanda e al genocidio dei Tutsi», presieduta dallo storico Vincent Duclert, hanno avuto il compito di affrontare una delle questioni più delicate della politica estera francese dell’ultimo mezzo secolo: il coinvolgimento di Parigi in Ruanda tra il 1990 e il 1994 nelle vicende che hanno portato al genocidio dei Tutsi: oltre 800mila vittime brutalmente trucidate dall’aprile al luglio del 1994. La missione principale della commissione era quella «di far luce» – come affermato al momento della sua istituzione, nel 2019, da parte di Macron – «poiché solo uno Stato al mondo ha sostenuto – in modo discreto, persino segreto – il regime che ha commesso questi crimini contro l’umanità: la Francia».

IN RUANDA, dopo la rivoluzione del 1959, i Tutsi erano stati progressivamente esclusi dal potere dagli Hutu (l’80% della popolazione) e avevano formato nel 1990 il Fronte patriottico ruandese (Rpf) – nato dalla comunità Tutsi che si era rifugiata in Uganda – che condusse una guerra civile fino al genocidio del 1994 e alla successiva presa del potere. Il 6 aprile l’aereo dell’allora presidente-dittatore Juvenal Habyarimana, sincero amico del presidente Mitterand, fu abbattuto da un missile terra-aria lanciato dai guerriglieri del Rpf: fu la scintilla che innescò la vendetta degli Hutu e uno dei più brutali genocidi della nostra recente storia.

PER OLTRE 100 GIORNI le Forze Armate Ruandesi (Far), insieme ad altri gruppi paramilitari, uccisero e massacrarono (spesso solo con i machete) oltre 800mila Tutsi in una maniera pianificata e capillare. Uno dei più efferati massacri fu quello presso una scuola a Gikongoro, dove in pochi giorni, furono brutalmente uccise oltre 27mila persone, poi seppellite in fosse comuni.
Il genocidio ebbe termine nel luglio 1994 con la vittoria del Rpf contro le forze governative che causò la fuga di oltre un milione di Hutu, quelli più legati agli apparati di potere e alle milizie paramilitari, che scapparono verso i paesi confinanti (Burundi, Zaire – oggi Repubblica democratica del Congo -, Tanzania e Uganda) per paura di essere giustiziati.

L’elenco delle carenze osservate, anche durante i 4 mesi di genocidio, da parte del governo francese sono indicate nel rapporto come «disfunzioni profonde nel processo di valutazione della situazione e nell’attuazione di misure di contrasto», come confermato dalle denunce di quegli anni da parte di Medici senza frontiere (Msf) con «l’accusa alla Francia di non aver intrapreso alcuna azione per denunciare o impedire i massacri».

CRITICHE anche nei confronti dell’Operazione «Turquoise» (missione francese a mandato Onu, avviata nel giugno ‘94 con l’obiettivo di porre un freno alle violenze in atto nel paese), che fu sempre oggetto di controversie e critiche perché «si dimostrò incapace di porre un limite ai massacri in corso».

Soddisfazione è stata espressa da parte del governo ruandese e del presidente Paul Kagame, fondatore del Rpf, che ufficialmente ha elogiato «il lavoro indipendente svolto dalla commissione, utile per rilanciare i rapporti con il governo francese», visto che nelle prossime settimane è prevista una visita di Macron in Ruanda.

 

Il presidente del Ruanda e fondatore del Fronte patriottico ruandese, Paul Kagame (Ap)