È risaputo che gli artigiani non vanno a visitare la Biennale. I maestri veneziani del vetro, del merletto, delle gondole la sconoscono. Sentono distante l’arte contemporanea, che, dalla metà del Novecento, ha scavato un solco tra fare e pensare, manualità e concetto. Lo stesso Padiglione Venezia, nato per ospitare l’eccellenza nelle arti decorative, ha finito con l’accogliere opere che non rappresentavano affatto la produzione manifatturiera. Ora si volta pagina.

La Biennale, con un progetto a lungo termine annunciato da Paolo Baratta, si impegna a essere luogo di esempi virtuosi del design veneto. Con un orizzonte preciso: l’esplorazione delle relazioni fra artigianato e nuove tecnologie. Quand’è che queste due «Muse», l’intelligenza manuale e l’intelligenza digitale, si tengono per mano? E dove invece ripiegano nella spettacolarizzazione o nella banalizzazione delle forme?
Guardando avanti. L’evoluzione dell’arte del fare, la mostra curata da Aldo Cibic per l’imminente Biennale d’arte, sarà il primo atto di questa ricerca. Cibic racconta le storie di nove realtà del Veneto, meritevoli di attenzione per l’approccio ai processi produttivi. È uno studio che parte dal territorio, evidenziando le difficoltà e i rischi che si sono corsi ai fini della qualità.
Contano i percorsi seguiti: gli incontri in «bottega», che illustrano il nascere dei lavori e i miglioramenti delle singole parti nelle competenze coinvolte (augmented craft). Si osserveranno, fra gli altri, attrezzature salvavita – l’airbag intuitivo per motociclisti e la tuta per la missione su Marte di Dainese – e prodotti d’avanguardia che impiegano tecniche tradizionali – gli occhiali di due designer di Los Angeles fabbricati in un’azienda familiare delle Dolomiti, l.a.Eyeworks + M1.

Per la Biennale non si tratta solo di riesporre l’arte applicata, ma di aprire un dialogo con il mondo dell’industria e la società civile.
«Nella riallocazione delle attività su scala mondiale, creatività artistica e tecnologie possono concorrere a risolvere il dilemma fra ciò che non ha più senso produrre qui e ciò che non può che essere prodotto qui» (Cibic). Un convegno a ottobre vedrà il Victoria & Albert Museum di Londra interlocutore privilegiato del progetto veneziano. Fra i protagonisti delle nove storie e Cibic intercessore si è formato intanto un «vocabolario» di voci che l’imprenditore di idee di qualsiasi ambito professionale dovrebbe conoscere: «avanti e indietro» nell’invenzione, «tendere a» senza paura, «curiosità», «discontinuità», «passione», «genius loci», «crisi» che forza a creare, «difficoltà» per l’insoddisfazione, «disponibilità».

C’è una scommessa politica implicita in Biennale, l’autentico Made in Ve nella città della contraffazione?