Abdul Rashid Dostum, generale afghano dalle mille alleanze, accusato di crimini di guerra, abusi sessuali e torture, è stato nominato ieri «maresciallo», la più alta onorificenza militare del Paese, che è stata concessa soltanto a due persone in passato.
La cerimonia, pomposa e solenne, si è tenuta nella provincia settentrionale di Jowzyan, dove Dostum vanta uno dei suoi sicuri feudi politici ed elettorali, grazie alla comunità uzbeca di cui si dice fiero rappresentante.

 

Il generale Abdul Rashid Dostum, al centro (foto Ap)

 

PROPRIO IL PACCHETTO DI VOTI che riesce a mobilitare, e la discreta potenza muscolar-militare che a intervalli regolari minaccia di usare, è all’origine della fortuna di Dostum: nel 2014 il presidente Ghani lo ha scelto come partner elettorale e vicepresidente, pur ammettendo che si trattasse di un «noto omicida», mentre nella tornata elettorale successiva – quella del settembre 2019, condizionata come le precedenti da brogli e irregolarità – è stato il rivale di Ghani a volerlo dalla sua parte: Abdullah Abdullah.

IERI ABDULLAH, attualmente a capo dell’Alto consiglio per la riconciliazione nazionale, l’organo che avrà il compito di negoziare con i Talebani, ha presenziato alla cerimonia, mentre era assente Ghani, politico dalle mille contraddizioni. Invoca lo Stato di diritto, giustizia e diritti, ma poi sceglie alleati come Dostum, finendo per ritrovarsi in situazioni imbarazzanti. Come quando ha dovuto far allontanare Dostum (auto-esiliatosi per alcuni mesi in Turchia), perché accusato nell’inverno 2016 di aver sequestrato per 5 giorni, seviziato e sodomizzato con la canna di un fucile il politico, ex alleato e poi oppositore, Ahmad Ischi, per poi passarlo nelle mani delle proprie guardie del corpo e in quelle poco carezzevoli della Nds, i servizi segreti afghani.

IL CASO GIUDIZIARIO contro Dostum formalmente è ancora aperto, ma la cerimonia di ieri, e la nomina a maresciallo, dicono il contrario: il caso è chiuso. L’impunità garantita. È la democrazia afghana, invocata dalle cancellerie occidentali soltanto quando fa comodo o non contraddice la presunta «stabilità politica».

La promozione di Dostum fa infatti parte del più ampio «pacchetto politico» che lo scorso maggio ha messo fine alla lunga disputa post-elettorale tra Ghani e Abdullah, andata avanti per mesi e mesi. E a dispetto dei rapporti conflittuali tra Dostum e i Talebani, non deve disturbare il processo di pace.

L’ACCORDO TRA USA E TALEBANI siglato a Doha il 29 febbraio 2020 prevedeva la riduzione delle truppe americane entro 135 giorni dalla firma. I 135 giorni sono trascorsi il 13 luglio e il Pentagono ieri ha assicurato: truppe ridotte a 8.600 uomini, 5 basi militari trasferite agli afghani. «Rispettiamo gli impegni. Tutti gli attori dovrebbero ridurre la violenza e dare seguito ai negoziati intra-afghani».
Ma il negoziato tra Talebani e governo di Kabul ancora non è partito, e i Talebani nei giorni scorsi hanno compiuto il primo attacco complesso in un centro urbano dalla firma dell’accordo, provocando vittime e feriti. Prosegue invece lo scambio di prigionieri, viatico al primo degli incontri de visu.

LO STESSO GENERALE DOSTUM, che contro i Talebani ha combattuto ferocemente e che i Talebani vedrebbero volentieri in una fossa, ieri ha usato bastone e carota, dicendo prima che se gli studenti coranici ambiscono alla vittoria militare verranno schiacciati dalla forza del governo. Ma invitando poi il presidente Ghani a rilasciare tutti i prigionieri nella lista dei Talebani, così da non lasciar loro ulteriori scuse per evitare di sedersi al tavolo negoziale. Discussioni tra gentiluomini, si intende.