Fra i fallimenti più abbacinanti che hanno cotraddistinto i nove anni in cui Shinzo Abe è stato il primo ministro del Giappone, quello più significativo, almeno dal punto di vista cultural-sociale, è stato il fatto di aver predicato e promesso, ma solo a parole, una politica fatta dalle donne e per le donne. Nel 2013 Abe lanciava infatti «womenomics», una campagna che doveva rendere le donne giapponesi più protagoniste nel mondo del lavoro ed in politica, ma che di fatto, dopo otto anni, non ha scalfito minimamente le gerarchie maschiocentriche nell’arcipelago.

LA POSIZIONE della donna nella società giapponese non è però sempre stata quella che vediamo oggi, nel corso della lunga storia che ha trasformato l’arcipelago infatti, non solo le donne occupavano diversi ruoli rispetto a quelli che vengono permessi loro al momento attuale, ma la stessa definizione di mascolinità e femminilità sono termini il cui significato è spesso mutato da periodo a periodo.
«Innumerevoli fenomeni storici si sono formati e sono spariti nel corso del tempo, ma solo alcuni di essi sono stati conservati tramite scrittura. I primi sono reki ed i secondi shi (rekishi significa storia in giapponese). Nonostante l’indiscutibile esistenza come reki delle donne nella lunga storia dell’arcipelago, raramente esse appaiono nei shi». Queste illuminanti riflessioni aprono e presentano Seisa no nihon shi (Il gender nella storia del Giappone), una mostra, la prima su tali argomenti nel Sol Levante, che si terrà al Museo Nazionale di Storia Giapponese, nella capitale, durante gli ultimi tre mesi di questo 2020. Con l’esposizione di una serie di documenti ed artefatti, questo evento proverà a indagare problematiche profonde e sempre attuali quali le ragioni storiche che hanno portato alla differenziazione fra il maschile ed il femminile, come queste differenze siano state vissute ed esperite nel corso dei secoli ed infine come anche il genere (gender) ed il suo significato si siano a sua volta trasformati a seconda del contesto storico dell’arcipelago.
Uno dei momenti storici più importanti, vero e proprio punto di rottura per l’argomento trattato dalla mostra, si verificò durante il periodo Meiji (1868-1912) quando con la nascita del moderno stato nazione giapponese, le donne furono escluse completamente dai processi governativi e da tutto quello che girava attorno alla politica ufficiale. Nel periodo classico infatti, checchè se ne dica e se ne racconti nell’immaginario popolare, avere sovrani o politici donne era la norma e non l’eccezione.

MA I MUTAMENTI storici che la mostra cercherà di indicare e di presentare al pubblico, attraverso statuette, dipinti ed altri materiali, sono, come si scriveva più sopra, anche quelli che riguardano il gender, che cosa cioè era considerato femminile e che cosa maschile, secoli, quando non millenni addietro.
Importante in questo processo di esplorazione del ruolo della donna nel corso della storia del Giappone è naturalmente anche la storia della sessualità e quella della prostituzione, e come questa veniva considerata ed usata nei secoli passati. Pagine di diari e lettere scritte da prostitute del quartiere a luci rosse di Yoshiwara, a Tokyo, aiutano a comporre il quadro storico dell’epoca, specialmente quello della vita quotidiana di queste donne, ma anche di chi erano i clienti che frequentavano i bordelli e di conseguenza della formazione delle aspettative riguardanti il genere e delle posizioni che uomo e donna occupavano nella società.

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