Abou Diakite, il 15enne morto all’ospedale di Palermo

Diakite Abou aveva 15 anni: partito dalla Costa d’Avorio, arrivato in Libia, ha attraversato il Mediterraneo. È stato salvato da Open Arms e poi imbarcato sulla «nave quarantena» Allegra. Il 29 settembre è finito d’urgenza all’ospedale Cervello di Palermo, ma era già troppo tardi: ha perso la vita. «Il medico legale si è riservato 90 giorni per consegnare la perizia. Per ora ha detto solo che c’era una setticemia molto avanzata», dice Alessandra Puccio, nominata tutrice del ragazzo dal tribunale dei minori del capoluogo siciliano. Dopo questo drammatico episodio Pasquale D’Andrea, Garante per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza di Palermo con un’esperienza ultra quarantennale nel sostegno ai minori, ha convocato associazioni e cittadini denunciando la situazione di forte illegalità vissuta dai ragazzi sulle navi quarantena e chiedendone lo sbarco immediato. Otto organizzazioni hanno sottoscritto un appello rivolto al governo affinché nessun minore sia costretto a trascorrere in mare il periodo di sorveglianza sanitaria. «La nave è un castigo ulteriore inflitto a soggetti fragili e provati dal viaggio», dice al manifesto.

 

Quanti sono i minori non accompagnati sulle navi quarantena?

Allo stato attuale non abbiamo un numero preciso, non ci viene comunicato. Secondo le nostre stime dovrebbero essere almeno un centinaio, ma i numeri sono fluttuanti.

 

Quali problematiche specifiche affrontano?

Dopo tanti anni grazie alla legge Zampa è stato fissato l’obbligo per lo Stato di assegnare un tutore ai minori stranieri fuori famiglia entro tre giorni dall’arrivo in Italia, mentre prima avveniva dopo il passaggio dalla prima alla seconda accoglienza (che poteva richiedere mesi o anni). L’emergenza Covid-19 sta mettendo in discussione il meccanismo di assegnazione rapida. Adesso ragazze e ragazzi sono obbligati ad andare in quarantena e c’è un periodo in cui non hanno una destinazione e di conseguenza non possono avere un tutore: perché i tutori sono collegati ai territori.

 

Cosa contestate?

Che i ragazzi debbano “passare la quarantena” su una nave. Le condizioni non sono buone e non hanno assistenza, ma soprattutto non hanno una tutela che possa accoglierli, rappresentare loro diritti e doveri, presentare le tappe da affrontare per l’inserimento e l’integrazione nel nostro paese. Bisogna farli sbarcare.

 

Perché è cosi importante che il tutore sia assegnato subito?

La legge dice che fino ai 18 anni un ragazzo non può compiere assunzioni di responsabilità. Di conseguenza ha bisogno di un adulto di riferimento. L’aspetto più importante, comunque, non è legale, ma relazionale. Mettiamoci dalla parte di questi ragazzi: hanno affrontato un viaggio che dura un anno, un anno e mezzo, durante il quale hanno subito violenze e abusi. Parliamo di ragazzi di 13, 14, 15 anni. Se li rapportiamo ai nostri adolescenti capiamo ancora di più il sacrificio che hanno affrontato. Questi ragazzi hanno l’esigenza di ristabilire un nuovo patto generazionale, di avere un adulto capace di riattivare sensibilità e fiducia verso il mondo. Il tutore diventa un punto di riferimento a cui aggrapparsi. Appena acquisiscono fiducia, i ragazzi ricominciano a vivere, progettare un futuro, tirare fuori i desideri, acquisire competenze, stabilire progetti con la scuole e il territorio.

 

Sulla nave invece?

La nave è un castigo ulteriore inflitto ai ragazzi che sono riusciti ad arrivare in Italia e si ritrovano senza assistenza o cure e senza possibilità di creare quell’elemento di fiducia necessario.

 

Il Covid-19 può giustificare delle deroghe alla legge nazionale che tutela i minorenni?

No. Ovviamente non nego l’esigenza di applicare norme per contrastare l’emergenza sanitaria, ma ne metto in discussione le modalità. Dovremmo avere dei luoghi a terra dove i ragazzi possano sostare in quarantena con la dovuta assistenza. In questa situazione possiamo anche pensare di non assegnare immediatamente un tutore, ma deve comunque essere trovata una figura di garanzia: un mediatore, un operatore, un educatore. Qualcuno che accompagni il ragazzo durante la quarantena. È necessario perché parliamo di soggetti fragili. Il drammatico caso di Abou ci ha fatto riflettere molto e ci ha portato a mettere in discussione tutto quello che sta avvenendo.

La storia di Abou Diakite

Dopo la tragica scomparsa del 15enne ivoriano la tutrice nominata dal tribunale dei minori di Palermo, Alessandra Puccio, si è messa in contatto con il fratello che si trova nel paese d’origine. Ha ricevuto il numero dalla Croce Rossa (Cri) a cui a sua volta lo aveva dato il ragazzino. La tutrice non è riuscita, invece, ad avere i testi del colloquio che la Cri ha avuto con un compagno di viaggio del ragazzo scomparso.

Il fratello ha raccontato che Abou era partito dalla città natale di Daloa a 13 anni, insieme a un gruppo di amici. Era il 2017 e a quel tempo i genitori erano già morti. Dopo l’Algeria è entrato in Libia. «Qui ha avuto grossi problemi: è stato in un centro di detenzione dove ha subito torture e abusi», racconta Puccio. Dopo il centro è riuscito ad attraversare il Mediterraneo, è stato salvato da Open Arms e trasferito per la quarantena sulla nave Allegra. Poi il  tragico epilogo.