Il noir come chiave di accesso alla comprensione del presente, ai suoi conflitti, al suo lato oscuro, agli innumerevoli intrecci tra economia legale e illegale (la seconda è sempre complementare alla prima, e viceversa). I personaggi, i «cattivi» che li popolano hanno spesso attraversato la lunga transizione da un capitalismo su base locale e manifatturiero a una globalizzazione dove i confini tra produzione, finanza, scambio di merci ha l’immagine di un flusso ininterrotto di capitali, merci, uomini e donne. I «cattivi» fanno buon viso a cattivo gioco, mettendo tuttavia in campo una ferocia che va al di là della classica distinzione tra bene e male. Insomma, il noir come stile sovversivo, indisponibile a mediazioni e a soluzioni consolatorie.
Eppure come spesso accade, ci sono reazioni, sottrazioni, tentativi di addomesticare questa variante di genere. In Francia, l’operazione è in parte riuscita; da anni autrici e autori come Dominique Manotti, Didier Daeninckx, Serge Quadruppani non sempre riescono a trovare i giusti spazi per i loro romanzi. Certo, c’è il fenomeno Michel Bussi, ma i suoi romanzi noir proprio non lo sono. Nel frattempo, molte case editrici oltralpe preferiscono attingere ai loro consolidati cataloghi e ripubblicare Jean-Claude Izzo, Leo Malet, cioè gli autori maledetti (gli anarchici, gli irregolari).
IN ITALIA la situazione, nel più classico esempio di una distinzione effimera tra tonalità emotive, storie scelte spesso antitetiche le une alle altre c’è stato il tentativo di un ritorno, seppur innovativo, alla tradizione del giallo. C’è la figura importante, fondamentale di Andrea Camilleri, forse lo scrittore che con più determinazione ha coltivato la necessità di innovare «il giallo», senza però concedere quasi nulla al noir. L’inventore del commissario Montalbano ha svolto un ruolo di talent scout per molti scrittori di «provincia», arrivando tuttavia a svolgere l’imbarazzante ruolo di chi eterodirige un genere dentro schemi rigidi. Poi si sono affermati altri scrittori che hanno scelto strade autonome. Giancarlo De Cataldo, ovviamente, Carlo Lucarelli (figura che occupa un posto a sé in una ipotetica galleria di autori «radicali» o «tradizionali»), uno scrittore di noir e un buon giornalista investigativo che miscelando narrativa e giornalismo di denuncia consente una presa di parola critica sul presente. C’è poi Maurizio de Giovanni. Altro posto a sé è occupato da Massimo Carlotto, che ha attraverso il noir italiano, quello mediterraneo, per poi provare a fare i conti con lo stile narrativo non del giallo tradizionale, bensì con il noir che non si sottrae a una felice contaminazione con il thriller e il giallo, come testimoniano i romanzi Il turista (Rizzoli).
I Bastardi di Pizzofalcone firmati da De Giovanni hanno invece il pregio – e il limite – di essere circoscritti a un localismo (Napoli ostaggio della camorra), anche se l’autore deve periodicamente inchinarsi alle interdipendenze della globalizzazione economica e criminale.
ROMANZI che si potrebbero definire novecenteschi e socialdemocratici, perché legati a una visione «nazionale», riformista sia della magistratura che delle forze dell’ordine. Libri che hanno venduto tanto e che continuano a vendere come piccoli bestseller. La serie è diventata anche una fiction televisiva di successo, anche se va sottolineato che la versione «cartacea» riserva sempre divertenti spaesamenti rispetto i personaggi, la silhouette emotiva dei «bastardi» che da outsider sono diventati quasi il fiore all’occhiello di una riorganizzazione della polizia di stato nel capoluogo campano. De Giovanni è anche un grande lettore di classici del giallo. Per Einaudi sta curando la pubblicazione completa dell’opera di Ed McBain, autore attento a tutte le sfumature del lavoro investigativo, un po’ come i personaggi dei Bastardi di Pizzofalcone.
IN QUESTO ULTIMO romanzo, Vuoto (Einaudi, pp. 344, euro 19), De Giovanni vuol fare i conti con il business della solidarietà a partire dalla scomparsa di una insegnante delle superiori. Un limite è evidente: lo scrittore napoletano – che ha alle spalle una dignitosa carriera in banca lasciata per amore delle parole (nel romanzo ci sono due pagine stampate in corsivo sul gioco amoroso, sessuale delle concatenazioni di parole che valgono tutto il libro) – in alcuni tratti non restituisce il vuoto esistenziale dei protagonisti rischiando di essere dispersivo. Per capire cosa accade occorre allora armarsi di pazienza, insieme all’imporsi di un elemento di novità; viene infatti inserita una nuova bastarda, poliziotta borderline, arrogante, aggressiva, incurante delle regole. Sa che ha dalla sua un porto d’armi, una divisa e un distintivo. Cose che l’autorizzano a fare il bello e il cattivo tempo. Se tuttavia rimarrà tra i personaggi, lo scrittore dovrà faticare non poco per renderla non solo credibile, ma parte integrante di un gruppo che solo recentemente ha cominciato a funzione come un team investigativo.
NON ACCADE QUASI NULLA, fino a quando si comincia a intravedere che dietro una impresa di successo, una eccellenza produttiva che ha come capo un imprenditore che vuole entrare sì in politica, ma che fa beneficenza come se fosse mettere dell’acqua sul fuoco per fare una pasta, tanto pulito non è. Prostituzione, traffico di organi, vendita di bambini, i profitti vengono da queste «edificanti» attività benefiche. Alla fine i Bastardi intervengono per tentare di recidere nodi gordiani e scorsoi stretti al collo di poveri cristi. Finale aperto, sia ben chiaro; non si fanno spoiler per un romanzo di quasi quattrocento pagine. Va detto che ogni bastardo ci mette del suo per dare il meglio di sé, compresi anche quei magistrati e quei procuratori antimafia d’assalto che hanno preso Pizzofalcone sotto le loro ali protettive.
Il futuro soffia nel vento, però. Chissà quali sorprese riserverà la saga dei «bastardi» divenuti celebri. Sicuramente, molte cose dovranno cambiare. Molte contraddizioni sono arrivate al pettine – amori, sesso, relazioni padre-figlia, bisogni di paternità e di normalità, forte desiderio di imprimerne un cambio radicale nella propria vita, sacrificata sull’altare del lavoro di cura per un bambino autistico. C’è voglia di joie de vivre tra i bastardi. E guai a frustrarla, fa capire Maurizio de Giovanni.