La precarizzazione della ricerca e della didattica è la regola per 3.500 ricercatori precari, detti di «tipo A» e 2.500 di «tipo B», oltre per i circa 15 mila assegnisti di ricerca. Questo esercito è fondamentale per fare lezione, mantenere le mediane dei dipartimenti all’altezza delle pretese dell’agenzia di valutazione Anvur, per tenere aperti gli atenei.

La popolazione accademica è invecchiata. Il blocco del turn over ha incrementato riserve del precariato storico, la gran parte dei nuovi ricercatori a tempo determinato ha oltre 35 anni.

In 10 anni è anche aumentato il numero dei ricercatori con contratti co.co.co. Oggi non bastano i circa 15.000 strutturati, è necessario il lavoro precario per svolgere le ordinarie, e straordinarie, attività didattiche, di ricerca e in alcuni contesti persino istituzionale. Questo mondo si riunirà domani in assemblea alla Sapienza di Roma, indetta da Flc Cgil e dai dottorandi dell’Adi che hanno promosso la piattaforma «Stesso lavoro, stessi diritti. Perché noi no?».

Al governo chiedono di stanziare le risorse che servono nella legge di stabilità per avviare un piano straordinario di reclutamento dei ricercatori e dei docenti precari dell’università; avviare l’iter per una riforma del pre-ruolo che semplifichi la giungla dei contratti precari e garantisca salari e diritti giusti; per mettere fine allo sfruttamento di assegnisti, borsisti, docenti a contratto, rtd, dottorandi.

«Vivo disappunto» per la legge di bilancio è stata espressa in una lettera dal «Movimento per la Dignità della Docenza Universitaria» che raccoglie docenti e ricercatori universitari e che chiede « una svolta».