La visione in parte distopica del futuro è preannunciata da film cult come Metropolis, Blade Runner e anche Ghost in the Shell, in cui azione e fantascienza proiettano lo spettatore in una realtà che ambisce a superare la terza dimensione, alludendo a quei piani superiori definiti dalle vibrazioni. Non è un caso che proprio la finzione cinematografica offra interessanti spunti di riflessione a Nanjo Fumio, Kondo Kenichi, Tokuyama Hirokazu e Honor Harger, curatori della mostra Future and the Arts: AI, Robotics, Cities, Life – How Humanity Will Live Tomorrow organizzata dal Mori Art Museum (Mam) di Tokyo in collaborazione con ArtScience Museum di Singapore, SymbioticA The University of Western Australia, Adam Mickiewicz Institute e Pro Helvetia (fino al 23 marzo 2020). Nelle sale del museo, al 52esimo piano di Roppongi Hills Mori Tower, il futuro diventa presente declinato com’è in una polifonica manifestazione artistica in cui vengono affrontati aspetti che vanno dall’architettura all’urbanistica, dalla scienza alla biotecnologia, dalla robotica al design e alla moda con quel percepibile fremito insito nell’idea stessa di trasformazione e cambiamento. Il progresso della tecnologia è il leitmotiv dell’intero percorso espositivo che nelle cinque sezioni – New Possibilities of Cities, Toward Neo-Metabolism Architecture, Lifestyle and Design Innovations, Human Augmentation and Its Ethical Issues e Society and Humans in Transformation – coinvolge oltre cento progetti internazionali.

Si parte dalla citazione del movimento architettonico-filosofico metabolista, nato negli anni ’60 intorno alle figure degli architetti giapponesi Kisho Kurokawa, Kiyonori Kikutake, Fumihiko Maki e Kenji Ekuan per arrivare all’ipotesi di Oceanix City, progetto firmato da Bjarke Ingles Group con l’arcipelago di città sostenibili fluttuanti (concepito per ospitare fino a 10mila cittadini), costruito intorno all’aggregazione di moduli esagonali: un ambiente abitabile offshore in grado di resistere nel caso di innalzamento del livello del mare che entro il 2050 rischia di colpire il 90% delle città costiere, così come agli uragani più devastanti. La reiterazione del pattern geometrico è anche alla base dell’installazione Muqarna Mutation (2019) di Michael Hansmeyer che, ispirandosi alle «muqarnas» dell’architettura islamica, vede l’impiego di tecniche di arte generativa progettata esclusivamente con l’algoritmo, procedimento autonomo utilizzato in numerosi altri campi scientifici e tecnologici, dalla biomedica all’ingegneria. Tra pet robot (il nuovo modello di Aibo, il più evoluto animale robot di compagnia, è stato prodotto nel 2017 da Sony), bio-atelier, proiezioni d’immersione meditativa (Deep Meditation: A brief history of almost everything in 60 minutes di Memo Akten), macchina dei sogni per sfuggire alla noia della quotidianità e vivere una seconda vita, cellule staminali pluripotenti iPS generate artificialmente (Shared Baby di Ai Hasegawa) e abiti eco-friendly creati dallo stilista Yuima Nakazato, che attraverso sistemi biotecnologici adatta i capi alle curve del corpo, arriviamo alla scultura viva Hortus XL Astaxanthin.g. (2019) di EcoLogicStudio (Claudia Pasquero e Marco Poletto), presentata in anteprima in occasione della mostra La Fabrique du Vivant al Centre Pompidou di Parigi.
Un’opera di intelligenza computazionale che combina modelli di endosimbiosi con la tecnologia di stampa 3D su larga scala. In questo sistema aperto le alghe e il biogel interagiscono con l’ambiente migliorando la qualità abitativa metropolitana attraverso la produzione di ossigeno. Un giardino portatore di grandi benefici per la salute fisica e psichica degli individui, quindi, che guarda fiducioso al futuro. Come dice un antico proverbio «l’amore è come un’alga sulla superficie di uno stagno».