Sulla coalizione sociale proposta da Maurizio Landini, un aspetto importante riguarda la funzione che l’auto-organizzazione ha svolto nella storia delle classi lavoratrici e della crescita democratica del paese.
Non c’è dubbio che, oggi, in Italia ci troviamo di fronte ad un doppio e grave deficit di democrazia. Da un lato, assistiamo all’aperto misconoscimento dell’azione dei sindacati e alla mortificazione della funzione parlamentare. Dall’altro, continua l’azione di riduzione dei diritti dei lavoratori e delle conquiste dello Stato sociale, un’azione distruttiva tenacemente perseguita in trent’anni di politiche neoliberiste. Ne deriva una grave crisi di rappresentanza politica delle classi lavoratrici, ovvero della maggioranza della popolazione.

La crisi democratica poi si estende e assume carattere generale, aggravata dal fatto che le politiche neoliberiste, dominanti nel panorama europeo e non solo, hanno rafforzato il potere dei grandi gruppi economici al punto da essere in grado di far valere i propri interessi in modo diretto, scavalcando le mediazioni proprie delle istituzioni politiche.

Tutto ciò rende non solo giustificata, ma necessaria un’iniziativa come quella della “coalizione sociale”, e la domanda è: quali possibilità di riuscita e quali prospettive essa apre.

Una riflessione che mi sembra utile per trovare elementi di risposta riguarda proprio le nuove forme di auto-organizzazione che hanno caratterizzato fin dall’inizio la storia delle classi lavoratrici e la dinamica delle loro rivendicazioni.
Non si può dimenticare che questa dinamica sociale caratterizzò la nascita dei primi sindacati in Italia e in Europa alla fine dell’Ottocento. Operai e contadini cercarono di difendersi e opporre resistenza alle nuove contraddizioni determinate dalla seconda fase della rivoluzione industriale e dall’accelerata trasformazione capitalistica delle campagne. Le nuove condizioni di lavoro si sovrapponevano ai vecchi squilibri diventando insostenibili. Ciò spinse molti lavoratori ad auto-organizzarsi in leghe di resistenza e dar vita ai primi sindacati. Quei movimenti portarono anche folte schiere di militanti nei partiti socialisti ampliandone notevolmente il raggio d’azione.

Si tratta di una grande storia capace ancora di suggerire una riflessione sull’auto-organizzazione e sulle nuove forme che essa assume nella società contemporanea.

Occorre partire dalla considerazione, tutt’altro che scontata, che, pur nel mezzo di una crisi e svuotamento della politica e di fronte alla distanza crescente, ormai quasi un fossato, che separa i governati dai governanti, esistono nel paese alti e diffusi livelli di consapevolezza politica. Anzi, il distacco nasce proprio dalla lucidità critica di gran parte dei cittadini nei confronti di una politica incapace di ritrovare i suoi fini e che, proprio per questo, si esaurisce nella ricerca degli strumenti.
Ed è abbastanza evidente che tali livelli di consapevolezza politica e i suoi contenuti trovano espressione in nuove forme di auto-organizzazione e nelle numerose associazioni cui danno vita.

Basta guardarsi intorno. Si va da movimenti per la difesa dei beni comuni, come l’acqua, a organizzazioni sanitarie che operano nei paesi meno sviluppati, ma anche per le fasce povere della popolazione in quelli sviluppati. Nella difesa dell’ambiente, si va da movimenti locali che contrastano discariche abusive e tossiche, inquinamenti industriali, grandi opere d’impatto distruttivo, scelte energetiche governative pericolose per l’ambiente e la salute dei cittadini fino all’azione sistematica e a tutto raggio delle maggiori organizzazioni ecologiste. L’auto-organizzazione e l’attivismo politico più consapevole caratterizzano da sempre la lotta per la parità di diritti tra donne e uomini e contro ogni discriminazione di sesso, razza, religione. Lo stesso può dirsi per tutti coloro che si organizzano e lottano contro ogni tipo di sopraffazione e violenza, che militano nei movimenti pacifisti e che per questi scopi hanno costituito associazioni nazionali e internazionali di grande rilevanza politica. Quanti sono gli attivisti che si battono contro la mafia, la corruzione e il loro inquinamento nella vita economica e politica? Né si possono sottovalutare le forme di auto-organizzazione in rete cui ricorrono soprattutto i giovani nelle proteste studentesche, come in quelle di precari e senza lavoro. E si potrebbe continuare con un elenco molto lungo.

Ma l’esperienza del passato induce anche ad un’altra riflessione. Specie in momenti cruciali, come quello della ricostruzione democratica del secondo dopoguerra o in fasi particolarmente alte della conflittualità sociale, come nel ciclo di lotte ’68-73, le rivendicazioni dei lavoratori sono andate ben oltre i problemi strettamente connessi alle loro condizioni. E’ accaduto, così, che le loro lotte hanno spesso incoraggiato e facilitato l’auto-organizzazione e la nascita di movimenti riguardanti altri aspetti dei diritti di cittadinanza e della qualità sociale.

E’ comunque un dato di fatto che ci troviamo oggi di fronte ad un ampio ventaglio di forme ed obiettivi dell’auto-organizzazione sociale. Questa realtà pone un problema non più eludibile di interpretazione dei molteplici bisogni di cambiamento che quei movimenti esprimono.

E non c’è dubbio che si tratta di un problema politico di grande momento, in quanto richiede la capacità di individuare nessi, convergenze e nuove forme di espressione politica.
Come in passato, occorre un’azione di saldatura e di leva. Chi è in grado di riconoscere e raccogliere tale sfida deve individuare la maieutica per collegare tra loro e far crescere i movimenti in atto e gli obiettivi di trasformazione di cui sono portatori.
Questa è la posta in gioco e in essa si misura l’importanza della proposta di Maurizio Landini. Si tratta di una proposta dalla quale non si può prescindere e la cui attualità è impellente.