Non è pace, né con Renzi sulle riforme, né con Fitto sulle primarie: è una duplice tregua dovuta all’approssimarsi dei ballottaggi. Subito dopo, però, Berlusconi, dovrà affrontare entrambi i nodi, tanto più intricati perché il secondo, quello della “democrazia interna”, rischia di rimandare a un terzo scoglio: la forma con la quale il centrodestra intende affrontare le prossime elezioni.

Martedì si dovrebbero riunire i senatori azzurri: un’assemblea richiesta dai senatori stessi che Berlusconi ha esitato prima di convocare. Il perché è ovvio: quella sede si rivelerà molto più decisiva di qualunque ufficio politico o comitato di presidenza, dato che è sul campo del Senato che si giocherà la partita. Non si parlerà solo del senato francese, sulla cui bocciatura i forzisti concordano in larga maggioranza, ma soprattutto di con quanta determinazione e veemenza cavalcare la proposta presidenzialista, già veicolata da alcuni emendamenti di singoli senatori azzurri ma anche da un emendamento “ufficiale”. Tra le ipotesi, quella di una raccolta di firme a favore del presidenzialismo, che, se riuscisse davvero a essere calato sul tavolo delle riforme, modificherebbe l’intero quadro generale come una bomba nucleare.

L’incontro chiave sarà però quello, previsto secondo voci diffuse per la prossima settimana ma non confermato e tantomeno fissato, tra Renzi e Berlusconi. La sorte delle riforme dipende in buona misura dalla trattativa che l’ex cavaliere chiede di avviare e che sinora Renzi ha escluso. Nonostante i buoni uffici di Verdini, che continua a spendersi, raggiungere l’intesa sarà già complicato se si parlerà solo del senato, ma lo sarà molto di più se i senatori prima e Berlusconi poi decideranno di puntare tutto sul presidenzialismo. Come sembra lasciar intendere Gasparri: «E’ sul presidenzialismo che si può ritrovare l’unità del centrodestra, anche Schifani afferma di essere pronto a sostenere quella riforma».

Ufficialmente, nessuno parla di legge elettorale. Non ce n’è bisogno. Va da sé che, ove Fi rovesciasse il tavolo delle riforme o ne riuscisse a mutare profondamente i connotati, il contraccolpo si ripercuoterebbe sull’Italicum, Così, in una catena di incertezze e quesiti irrisolti, la sorte del senato rinvia a quella della legge elettorale, e quest’ultima alla connotazione del centrodestra. Al momento, Fitto insiste nella sua battaglia, i cui obiettivi riguardano di fatto solo gli organigrammi del partito. Il prossimo round si svolgerà nel comitato di presidenza, dopo i ballottaggi. Le trattative per impedire lo scontro, ieri, sono state frenetiche, con Verdini in primissima linea. Ma Fitto non demorde: nessuno attenta al sacro ruolo del capo, però bisogna «legittimare dal basso il gruppo intorno a lui». Traduzione: l’ex cavaliere resta, il cerchio magico no.

Di qui a poco, però, i leader forzisti dovranno fare i conti con la necessità di decidere come marciare verso la coalizione, o verso un partito unico. L’Ncd è nel caos, spaccato tra chi ipotizza, come Schifani, l’uscita dalla maggioranza prima della scadenza della legislatura, e chi, come Cicchitto, è pronto a tutto per la «governabilità». Ma sono solo segnali. Le scelte reali, nel centrodestra, dovranno aspettare che si definisca la legge elettorale. Poi tutto prenderà la rincorsa.