Nel derby di Crimea ha prevalso il Fk Skchf di Sebastopoli. Ha rifilato un secco due a zero al Fk Tsk di Simferopoli. La Zhemchuzhina Yalta, altro undici dell’ex penisola ucraina, ha invece perso contro il Sochi. Sempre di due a zero, al fischio finale, il risultato. Erano partite di coppa. Si sono giocate il 12 agosto e hanno sancito l’esordio nel contesto calcistico russo di queste tre squadre della Crimea, che in campionato partiranno dalla terza serie.

Tutte con una rosa di atleti dal passaporto appena cambiato, da ucraino a russo. Nel caso dei team di Sebastopoli e Simferopoli, pure con nuove denominazioni. Ovviamente russificate. Le precedenti erano FC Sebastopoli (l’attuale acronimo Skchf sta per «club sportivo della flotta sul Mr Nero») e SC Tavriya Simferopoli. La Zhemchuzhina Yalta ha potuto conservare il nome, già russo. Zhemchuzhina significa perla.

Tutto questo per dire che il calcio segue ancora una volta gli spostamenti di confine, più o meno opinabili che siano. La Crimea è ora parte della Russia, e queste squadre ne seguono il destino. La loro ammissione alla federazione russa è stata votata a Mosca, l’11 agosto, durante una dibattuta riunione della federcalcio. Citando un’inchiesta della Novaya Gazeta, una delle ormai poche testate non allineate al Cremlino (ci lavorava Anna Politkovskaya), il New York Times ha riportato che qualcuno, in quell’occasione, ha espresso il timore che l’amissione delle squadre di Crimea nella famiglia calcistica russa avrebbe procurato grattacapi di ordine finanziario.

Del tipo che la Uefa, presso cui la federazione di Kiev ha protestato contro il «furto» delle formazioni crimeane, sarebbe in potere di escludere le squadre russe dalle competizioni europee. Che, come noto, assicurano introiti importanti. Un’altra perplessità emersa nell’incontro ha riguardato i mondiali del 2018. Si terranno in Russia, ma la crisi ucraina, con i suoi addentellati calcistici, potrebbe condurre addirittura alla revoca. Se la Russia perdesse i mondiali andrebbero in fumo contratti lucrosi sui quali gli oligarchi che fanno parte del gotha calcistico moscovita hanno senz’altro messo già gli occhi, se non le mani.

In ogni caso l’11 agosto è passata la linea dura: Crimea alla Russia, anche calcisticamente. Quanto a Uefa e Fifa, la prima s’è finora limitata a disconoscere l’ufficialità dei match delle tre squadre crimeane (una misura tutt’altro che graffiante) e la seconda non ha messo in discussione i mondiali del 2018. Intanto Putin ha appena battezzato la Otkrytie Arena di Mosca, uno degli stadi che ne ospiteranno le partite. Com’è intuibile questa non è l’unica, complicata storia di pallone che sgorga dalla vertenza ucraina.

Prendi lo Shakhtar Donetsk, la blasonata formazione presieduta da Rinat Akhmetov, il più ricco degli oligarchi dell’ex repubblica sovietica. Il campionato è cominciato e lo Shakhtar è in testa alla classifica, come spesso capita da qualche anno a questa parte. Ma la novità è che non gioca a Donetsk, dove la Donbass Arena, il suo catino, è appena stato sfregiato dagli ordigni.

La guerra ha costretto la corazzata di Akhmetov a cambiare momentaneamente domicilio. S’è accasata dall’altra parte del paese, a Leopoli. Il che suona un po’ paradossale, visto il precedente sodalizio politico tra l’ex presidente Yanukovich (bollato come filorusso) e Akhmetov (ora passato felpatamente dalla parte di Kiev), e tenuto conto del fatto che Leopoli è il centro di irradiazione dell’idea nazionale-nazionalista di Ucraina, nonché la roccaforte di Svoboda, partito saldamente ancorato a destra che sulla Majdan s’è dato molto da fare. Ma tant’è. Il Bleacher Report, testata sportiva americana dal respiro globale, segnala comunque che la gente di Leopoli sta un po’ snobbando le partite dell’undici di Donetsk. Un’altra squadra della metropoli dell’est, che resta sempre sotto il controllo dei ribelli filorussi, è trasmigrata a causa del conflitto. Si tratta dell’Olympia, promosso l’anno scorso in prima serie. Gioca a Kiev.

Sempre nella capitale è di scena lo Zarya Lugansk, l’altra città dell’est dove ribelli e governativi si sparano addosso da mesi. Come Akhmetov, anche il presidente del Metalist Kharkhiv, Sergei Kurchenko, neanche trent’anni, ma già ricco sfondato, era legato a Yanukovich. L’Europa ha bloccato i suoi conti all’estero, Kiev ha congelato i beni del Metalist: dalla quote societarie allo stadio. Un altro caso in cui calcio e crisi, nell’Ucraina lacerata, viaggiano a braccetto.