Nel corso dell’ultimo question time alla Camera, il ministro dell’economia non è riuscito a nascondere la confusione che regna nel governo a proposito delle scelte di politica economica da compiere a partire dal prossimo autunno.

Tra le bandierine gialle e quelle verdi, i vincoli europei e l’andamento dell’economia, il suo intervento è stato un esercizio di equilibrismo malriuscito.

Per accontentare la Lega, ha detto che la flat tax si farà, ma la sua introduzione sarà «graduale». Cosa ha voluto dire? Stando al dibattito delle scorse settimane, si potrebbe ipotizzare che l’intenzione del governo sia quella di estendere la tassa piatta, che ora già c’è per le società di capitali (Ires al 24%), alle imprese individuali e alle società in contabilità ordinaria, che ora sono assoggettate all’Irpef e all’Irap. Ma questo è ciò che aveva già previsto il precedente governo, istituendo l’Iri (Imposta sul Reddito Imprenditoriale), la cui applicazione è finora slittata per far fronte alla sterilizzazione delle clausole di salvaguardia su Iva e accise (che incombono anche quest’anno).

Forse il ministro ha in mente qualcos’altro, ma si possono fare distinzioni tra persone fisiche senza ledere il principio di uguaglianza? Vedremo.
«Graduale» ma anche «progressiva». Proprio così: il ministro ha dichiarato che la tassa piatta dovrà essere rispettosa del principio di progressività sancito dalla Costituzione. Un ossimoro, meno grave, tuttavia, delle motivazioni che lo stesso ha addotto a sostegno della riforma.

La tassa piatta, ovvero la riduzione delle tasse ai ricchi, secondo il professor Giovanni Tria, sarebbe «una più efficace leva della crescita economica». Tradotto: in un’economia che ristagna, per la quale si prevede un ulteriore rallentamento sia quest’anno che l’anno prossimo, la ricetta del governo è quella di alleggerire il carico fiscale per una minoranza agiata di persone e, ancora una volta, per le imprese, determinando una riduzione delle entrate fiscali che non potrà essere compensata, come lo stesso ministro ha sottolineato, né dal condono fiscale (ha stimato che su un totale di 800 miliardi di ruoli non riscossi l’azione di recupero sarebbe limitata a non più di 50 miliardi) né dal ricorso alla spesa in deficit.

«Graduale» ma anche «compatibile con gli spazi finanziari disponibili nel bilancio dello Stato» e «senza deterioramento del saldo strutturale». Vale a dire: la flat tax proviamo pure a farla, ma tagliando da un’altra parte, perché il governo si è impegnato con Bruxelles a non compromettere il «quadro tendenziale» dei nostri conti pubblici (deficit pubblico all’1,6% del Pil quest’anno, per poi scendere allo 0,8% l’anno prossimo e pareggio di bilancio nel 2020) e ad assumere iniziative volte a ridurre il rapporto debito/Pil.

Mettiamo in fila gli argomenti: tutti gli osservatori più accreditati hanno tagliato le stime di crescita del nostro Paese (1,3% quest’anno, 1,1% l’anno prossimo); la domanda interna rimane debole, crescono povertà e disuguaglianze; il ministro Tria, deciso a «non innescare una politica pro-ciclica» (che tende ad accentuare gli effetti del ciclo economico), anziché proporre un piano di investimenti pubblici e nuove, più efficaci, politiche redistributive a favore dei ceti più deboli della società (e maggiormente colpiti dalla crisi), taglia le tasse ai ricchi e alle imprese e, contestualmente, si impegna a ridurre il debito pubblico.

«La matematica non è un’opinione», si è sempre detto. Figuriamoci l’aritmetica. Per abbattere le tasse come vuole la Lega senza stravolgere i saldi di bilancio, da qualche parte bisognerà pure tagliare. E non si venga a dire che nel medio periodo la compensazione avverrà grazie all’effetto moltiplicativo delle spese e degli investimenti che i ricchi si deciderebbero a fare con i soldi risparmiati sulle tasse. È una regola elementare dell’economia: la propensione al consumo (parte del reddito che si spende) è inversamente proporzionale alla crescita del reddito. E poi i ricchi, da che mondo è mondo, sono sempre una minoranza (in Italia l’1% più ricco possiede 240 volte tanto il 20% più povero), difficilmente li incontri al supermercato o al mercato settimanale del pesce.